giovedì 24 giugno 2010

CESARE, THE BOY WHO LIVED

Di tanto in tanto, nel web, mi imbatto in storie che mi colpiscono. E' stato così che sono capitata sul blog del piccolo Cesare, operato di Truncus arteriosus, 3 casi su 10 mila bimbi nati. Una storia che inizia nel 2004 ed arriva fino ad oggi; una storia che dà i brividi a chi, come me, in un ospedale pediatrico c'è stato, e quella sensazione terribile di impotenza l'ha provata sulla sua pelle.
E' bello scoprire che, sospese nel blog, galleggiano altre storie di piccoli eroi; mi piace molto l'immagine di questi piccoli Harry Potter che portano sul petto la cicatrice che "è il marchio della voglia di vivere anche quando i numeri ti dicono statisticamente morto."
E' bello vedere che altre mamme hanno voglia di raccontare quello che hanno vissuto, che altre mamme vogliono rompere questo nauseante tabù che talvolta vedo invischiare le persone, percui "del dolore non si parla". Sembra quasi che nel mondo si abbia imbarazzo delle lacrime, imbarazzo della sofferenza altrui, percui tanto meglio non parlarne, per non imbarazzare chi vive felice la sua vita di cicala e non ha voglia di concentrare i propri neuroni per comporre frasi adatte.
Personalmente, ritengo invece che questo muro vada infranto; perchè la cosa peggiore che ricordo, di quei giorni - per certi versi anche peggiore dell'immagine di lui in terapia intensiva - erano quelle terribili frasi "non ti ho chiamato perchè non sapevo che dirti".

Ecco perchè condivido volentieri il link a questo blog presentandolo con le sue stesse parole; parole che, leggendole, mi sono sentita sotto la pelle come fossero mie:

"C’è qualcosa che non va sul cuore
Parole che ti cambiano la vita.

Niente sarà più come prima.
E, in ogni caso, indietro non si torna.

Nessuno di noi avrebbe mai immaginato che il proprio figlio nascesse con un cuore burlone.
Nessuno l’avrebbe scelto a priori.

Ma, una volta che la vita ti chiama a questo ballo, è bello scoprire che non è la fine del tuo mondo ma l’inizio di un percorso fatto di piccoli passi, di attese infinite, di speranze sussurrate, di tempo e pazienza.
Una grande lezione di vita, quella con la V maiuscola, miniata e istoriata.

Più o meno come attraversare un ponte tibetano avvolto nella nebbia, avendo come unica guida un cucciolo concentrato di coraggio.

Perché le battaglie sono tutte sue.
E noi dietro, a tenere il suo passo, anche quando la strada è così ripida che ti taglia le gambe, ti scoppia il cuore, ti cedono i nervi.

Ma poi, andando avanti, si scopre che questo viaggio faticoso è pieno di mani che si allungano verso di te ogni volta che credi di non farcela più.

E si impara che non si è gli unici ad aver ricevuto questa tegola in testa.
E che c’è sempre un dopo.
Anche quando sembra che il sole non debba sorgere mai più."

(dal blog iBaby - Cesare, the boy who lived)

Mille grazie ai genitori di Cesare, e a tutti coloro che, condividendo la loro storia, alimentano la speranza in chi tutto questo lo deve ancora affrontare.
Nel mio piccolo, era la ragione che mi ha spinto ad aprire il blog. E, sempre nel mio piccolo, è la ragione che ancora mi spinge a scrivere.

.. IL DOLORE DEGLI ALTRI ...

.. La cosa paradossalmente più difficile da accettare, ad un anno di distanza, è che non tutte le storie terminano con un lieto fine. Nella filosofia spicciola cui siamo abituati, questo dovrebbe essere un bene ("non piangerti addosso! Pensa a chi sta peggio!"); eppure è come se l'esperienza passata mi abbia lasciato alcuni nervi scoperti.
Ho passato l'ultimo anno a cercare in ogni modo il contatto con altri genitori che abbiano vissuto - o stiano vivendo - esperienze simili, perchè sentivo l'esigenza di condividere, di parlare, di ascoltare.
Inevitabilmente, così facendo sono venuta a conoscenza di tante mamme "mancate", ho seguito storie che non hanno avuto un lieto fine come il mio, ho pianto insieme a loro come se quei bambini sconosciuti fossero stati mio figlio. Mamme che mettono al mondo bimbi per poi vederli morire dopo pochi mesi, sopraffatti da una malformazione troppo complicata. Mamme costrette a prendere la decisione più difficile, quella di mettere fine alla vita che hanno in grembo sapendo che, altrimenti, non avrebbero alcun tipo di futuro. Mamme splendide e coraggiose, in grado di rialzarsi e andare avanti anche quando la vita cerca in tutti i modi di spezzarle.
Le ho guardate e ammirate, perchè io, nella mia infinita debolezza, continuo a soffrire per le piccole cose che mi sono mancate - pur scoppiando di gioia, ogni volta che vedo mio figlio ridere.
Conoscere il dolore degli altri spinge a tante domande. Mi sono chiesta infinite volte quale sia il senso, nell'economia dell'universo, di queste piccole vite fragili, spezzate a pochi giorni dal loro inizio, o quando sono ancora avviluppate nel conforto protettivo della pancia della mamma. Mi sono chiesta il perchè, talvolta, il destino sembri accanirsi contro persone splendide, ricche di sensibilità e di gioia di vivere, alle quali viene sottoposta una prova dopo l'altra, mentre a chi vive beatamente immerso nella propria superficialità la vita sembra offrire tutto su un piatto d'argento.
Inutile dire che una risposta non l'ho saputa trovare in alcun modo. L'unica, piccola illuminazione che ho avuto, è stata che probabilmente questi piccoli "angeli" (parola di cui talvolta si abusa stucchevolmente, parlando di piccoli pazienti.. ma non saprei come altro definirli), passano di qui solo per insegnarci che c'è ancora speranza, per tutti noi, perchè siamo in grado di emozionarci e soffrire per uno sconosciuto, perfino tramite web. Magra, magrissima consolazione, mi rendo conto. Ma in un'epoca in cui tutto è apparenza e vuoto, ho imparato questa importantissima lezione, che in un forum, o su facebook, o sul tanto demonizzato web circolano anche emozioni autentiche, e che queste emozioni sanno unire gli individui in una rete.
E poi c'è la grandissima lezione di queste mamme, che ti raccontano la loro vita - in alcuni casi costellata non di una, ma di tante "ammaccature" - con tanta delicatezza, facendoti capire come, malgrado tutto, sopravvivendo al dolore si diventa più forti, più profondi, più "uomini" in senso lato, probabilmente.
E che abbiamo tutti tantissimo da imparare da chi soffre.

martedì 15 giugno 2010

ELISA IN CONCERTO PER L'OSPEDALE PEDIATRICO BAMBIN GESU'

Chi come me è passato attraverso l'Ospedale Pediatrico Bambin Gesù, sa che tra quelle mura si operano quotidianamente piccoli grandi miracoli. Chi ha conosciuto l'ospedale ha conosciuto la grande umanità di medici e infermieri, i turni di lavoro massacranti affrontati sempre col sorriso, la disponibilità di chi decide di dedicare la propria vita ai bambini. La parola che più spesso ricorre sulle labbra dei genitori dei piccoli pazienti è una sola: "angeli"; una definizione forse banale, ma come altro definire coloro che si prendono cura di tuo figlio proprio nel momento in cui ti senti più impotente, proprio quando temi di perderlo, e gli restituiscono un futuro?
Anche gli angeli, però, talvolta hanno bisogno del banale e concreto denaro, perchè per salvare la vita ai bambini occorrono macchinari, e i macchinari costano; ecco dunque che come spesso accade è la musica a correre in soccorso degli angeli in camice verde.

Giovedì 8 luglio 2010 alle ore 21.00 presso la Cavea dell'Auditorium Parco della musica, Elisa terrà un concerto dal vivo il cui incasso verrà devoluto interamente all'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, appunto.
L'obiettivo? Regalare all'ospedale una nuova TAC multistrato, apparecchiatura che consentirà con un unico esame diagnosi particolarmente complesse e destinata al trattamento dei piccoli pazienti con più traumi.
L'evento è organizzato da Unicredit Group in occasione dell'East Forum 2010; per tutte le informazioni e i dettagli vi rimando al sito http://www.auditorium.com/eventi/4975214.

Sarà che, in quelle lunghe settimane di ospedale, c'è stata una canzone di Elisa che mi ritrovavo sempre a canticchiare sottovoce, cullando il mio bimbo con le lacrime agli occhi, ma per me la sua voce è qualcosa di indissolubilmente legato all'angoscia di quei momenti, un piccolo conforto che adesso, a riascoltarla, mi strappa sempre qualche lacrimuccia di commozione:




Non potevo perciò non segnalare questa iniziativa nel blog.
Con la speranza che, per tutti i piccoli pazienti, ci sia sempre una poesia ad attenderli al di là dell'orizzonte.

lunedì 7 giugno 2010

La relatività del dolore....

Ecco, queste sono le notizie che mi fanno letteralmente ribollire il sangue nelle vene. Elisabetta Gregoraci, moglie di Flavio Briatore e mamma del piccolo Falco Nathan che piange disperata sostenendo di aver perso il latte a causa dello shock per il sequestro del loro yacht di lusso. All'inizio, sentendo la notizia, pensavo di aver frainteso. Come è possibile che una donna possa essere a tal punto estraniata dalla realtà da poter ritenere QUESTO uno shock?
http://www.pilloledalmondo.it/elisabetta-gregoraci-latte-perso-dopo-il-blitz-sullo-yacht-di-briatore/
Per carità, capisco tutto, capisco la relatività, capisco che quando si è abituati ad avere uno yacht vederselo sequestrare dalle Guardie di Finanza possa a suo modo essere un trauma.. quello che non capisco e la superficialità, la presunzione di piangersi addosso apertamente, rilasciando dichiarazioni che per le mamme come me che sono passate attraverso un ospedale pediatrico suonano come tante coltellate.
Lei perde il latte perchè le sequestrano lo yacht. Io, e tante altre, ci siamo aggrappate con le unghie e coi denti ai tiralatte, nonostante non ne uscissero che poche gocce, perchè quello era tutto che potevamo fare per i nostri figli. Ci siamo sentite dire che era comunque un miracolo che dopo lo shock di una diagnosi del genere ("suo figlio dovrà essere operato al cuore entro i primi giorni di vita, lo stiamo già trasferendo all'ospedale per un primo intervento d'urgenza") eravamo comunque riuscite a conservare il latte. Ce l'abbiamo messa tutta affinchè i nostri bambini non vivessero il riflesso della nostra angoscia, perchè loro nelle loro cullette in attesa di intervento erano completamente inconsapevoli di quanto stava avvenendo, e per questo, nonostante tutto, sereni.
Leggere che per lei lo shock di perdere lo yacht ("Ho dovuto lasciare la culla, il fasciatoio, le medicine, i prodotti speciali per la pulizia del piccolo. Tutto, insomma. Questa era diventata la sua casa in attesa che finissero la nostra nuova abitazione a Montecarlo, questione di giorni. È stato un trauma per me e per il bambino“) possa averle causato un trauma peggiore di quello di vedere il proprio bambino in lotta per la vita è a dir poco nauseante. Con tutto il cuore spero per lei che siano storpiature giornalistiche, non posso credere che un essere umano possa essere tanto al di fuori di ciò che accade del mondo da non chiedersi nemmeno per un istante: ma davvero è un dramma ciò che mi sta capitando?
Non posso credere che per una mamma la cosa più importante al di sopra di ogni cosa non sia avere comunque il proprio bambino sano e in forze, tra le braccia. Non posso credere che la scocciatura di dover ricomprare culla e fasciatoio, lo stress di dover trovare un nuovo tetto "provvisorio" (stento a credere che in attesa della nuova abitazione a Montecarlo la signora Briatore non abbia altro posto dove dormire..), tutto questo l'abbiano a tal punto sopraffatta da farle dimenticare che è al di là di tutto, una donna fortunata.
Eppure io non farei mai a cambio, con una fortuna che mi privi della capacità di giudicare lucidamente ciò che mi accade, che mi porti a piangermi addosso più del dovuto per ciò che perdo, offuscandomi la vista su ciò che ho.
Io non ho perso niente, è vero, perchè la gioia di allattare non l'ho mai avuta - o perlomeno, ho potuto provarla per la prima volta soltanto dopo un mese di trepidante attesa - ma sono contenta così. Sono contenta perchè ho combattuto e ho vinto.