mercoledì 22 dicembre 2010

NEMMENO UN FIOCCO

Oggi mentre me ne stavo diligentemente in fila nel traffico, sotto una pioggerellina sottilissima, per caso sono passata di fronte ad un cancello decorato con un vistoso fiocco azzurro. Anzi, dire fiocco è dire poco: un grosso disco di nastro celeste intrecciato, a formare un "coccardone" grosso quanto un piatto da pizza. Ho sorriso, pensando a quanto grande sia la gioia di chi, dopo nove mesi di attesa, vede compiersi davanti ai propri occhi un piccolo miracolo; tanto grande che, dovessimo rappresentarla con la grandezza di un fiocco, non basterebbe un diametro grosso quanto quello della luna, per esprimerlo.
E, tutt' a un tratto, mi è tornato in mente il mio rientro a casa, sfinita da un mese di attesa ininterrotta in ospedale, panini e cappuccini trangugiati di malavoglia, lacerata da tanta sofferenza, desiderosa di normalità. Mentre ero ancora un pancione ignaro di tutto ciò che di lì a poco avrei affrontato, avevo anche ricamato pazientemente il mio bel fiocco, con tanto di nome del bebè in bella vista, e lungo nastro azzurro che-immaginavo-avrebbe ondeggiato felice al vento primaverile, attaccato al portoncino del palazzo. Invece, rientrando finalmente a casa, tutto ciò mi è sembrato talmente vuoto, vano, privo di siginificato, che quel fiocco ho finito per non appenderlo mai, fuori dalla porta.
Non so perchè l'ho fatto; trovo che stia molto meglio appeso sopra alla testata del lettino. Probabilmente l'ho inconsciamente visto come un simbolo di quella "normalità" che temporaneamente mi ero vista strappare, probabilmente dopo un mese di attesa per poter finalmente stringere tra le braccia mio figlio - senza cavetti nè sensori - mi sembrava talmente straordinaria tanta ordinarietà che improvvisamente quel fiocchetto ricamato aveva perso senso, non potendo mai esprimere a pieno lo scoppio di gioia nel nostro petto alle parole "Oggi potete andare via".
O forse, ormai mi sentivo tanto irrimediabilmente strappata alla normalità che quasi con rabbia io stessa finivo per rifiutare tutto ciò che "normalmente" avrei voluto.
Non avevo pensato più alla storia del fiocco. L'avevo archiviata come uno dei tanti aneddoti che un giorno avrei raccontato ad un adolescente dagli occhi verdi:
"Sai... tu in realtà un fiocco non l'hai mai avuto.. Ti ho mai raccontato di quando siamo tornati a casa dall'ospedale?"
Poi, improvvisamente, proprio stamattina un fiocco emerso come un fantasma azzurro dalla pioggia me l'ha riportato alla mente....

martedì 14 dicembre 2010

NOI, E NEMO.

"Dov'è Nemo?"
(prende, orgoglioso, il suo pupazzo di peluche)
"E dove sta la pinnetta fortunata?"
(dopo una breve ricerca, sorridendo felice, stringe tra pollice e indice la pinnetta atrofica, rispondendo "CCA!!")

Una scena assolutamente banale, nella sua disarmante quotidianità. Cosa c'è di più comune di un bambino di diciotto mesi che comincia a districarsi tra le insidie del linguaggio?
Eppure quando lo guardo abbracciare il suo Nemo, il mio cuore - sempre questa parola, che ricorre in continuazione! - ha un sussulto. Forse per la prima volta ho percepito davvero a fondo il significato del film della Pixar, la potenza straordinaria di quel messaggio che dice a tutti noi, mamme e papà, di non lasciare che le nostre paure tarpino le ali dei nostri figli. Specialmente a quelli che, più degli altri, osservando pensosi le pinnette atrofiche dei loro pesciolini, temono che questo possa un giorno ostacolare la loro scoperta dell'Oceano.
E' talmente tanta la semplicità con cui, assolutamente ignaro di ciò che abbiamo vissuto, mio figlio affronta la vita come tutti gli altri, anche lui appollaiato sulla schiena di Maestro Manta, assieme agli altri. Ed è forse questa la cosa più surreale di tutto ciò che è stato... il fatto che, paradossalmente, lui - con la sua cicatrice biancastra lungo il petto - è un bambino assolutamente identico a tutti gli altri, mentre siamo noi, mamma e papà, ad essere stati talmente segnati da quanto è accaduto da essere "diversi", pur senza segni visibili.
L'ho scritto e riscritto.. ma a un anno e mezzo di distanza è decisamente questa la lezione più dura: convincerci che lui avrà una vita assolutamente normale, inspiegabilmente normale, per certi versi.. mentre saremo noi a sentirci ormai "fuori posto" di fronte alla normalità. Non può essere altrimenti, quando hai stretto la manina inerte di tuo figlio in un reparto di terapia intensiva neonatale.

domenica 7 novembre 2010

FUORI TEMA, MA NEANCHE TANTO.. LA STRAORDINARIA STORIA DI TEMPLE GRANDIN

Conoscete Temple Grandin? Non è una cardiopatica nè la mamma di un piccolo cardiopatico, ma una persona la cui storia penso possa essere utile per tutti noi genitori, col terrore che i nostri bimbi possano non avere un futuro normale.
In effetti, Temple è tutt'altro che una persona "normale". Quale persona normale, inserendo il proprio nome su "Google", vedrebbe aprirsi la miriade di pagine web che compare quando digitiamo "Temple Grandin" nella barra di ricerca? Temple è una persona "diversa", diversa perchè ha saputo prendere in mano le redini di una vita resa difficile dalla malattia, trovarne una chiave di lettura e stravolgerla completamente, fino a trovare proprio nella sua più grande debolezza la sua forza.
Ma andiamo per ordine... Tutto inizia con una diagnosi implacabile: "autismo". Una diagnosi capace di dare un brivido al più razionale dei genitori, che richiama alla mente il commovente Raymond interpretato da Dustin Hoffman in "Rain man". E che, almeno in un primo momento, sembra destinare la sfortunata bambina ad una vita di incosciente isolamento, con la necessità di una continua e costante assistenza medica, in un appiattimento emotivo e sociale.
Ma Temple, che come tutti gli autistici rifiuta con violenza il contatto umano, scopre di provare una immensa serenità quando è tra gli animali. Nel ranch di famiglia, nell'assolata Arizona, Temple si rende conto che per lei è molto più facile comunicare con le mucche; ne percepisce le emozioni, le paure, le sensazioni; è stando in mezzo a loro che riesce a sentirsi serena ed a trovare la forza di reagire al male che la ingabbia.
E' da qui, dal suo piccolo rifugio odoroso di paglia e sterco, che parte la rinascita di una donna straordinaria, oggi 63enne professoressa associata di scienze animali all'università del Colorado, oltre che numero uno nella progettazione di impianti di allevamento impostati ad un più umano trattamento degli animali e personalità di spicco nell'ambito dei movimenti per i diritti delle persone autistiche.

Se volete conoscere la sua storia, vi segnalo l'interessante intervista di Blog.Panorama.it, oltre naturalmente al suo sito ufficiale dedicato all'Autismo. Ma consiglio caldamente a tutti coloro che, anche solo in un angolo della loro mente, continuano a nutrire dubbi che quella cicatrice sul petto possa comportare per i nostri bambini delle conseguenze spiacevoli, di conoscere qualcosa di più sulla vita di questa donna e sulla malattia che ha combattuto.
Sembra banale, ma "volere è potere". E Temple dimostra quanto non siano spesso le diagnosi a fare la differenza, ma come queste ultime vengono affrontate. Perfino una bestia nera come l'Autismo, quando affrontata di petto, può essere sconfitta.
Dobbiamo davvero ancora aver paura che per il solo fatto di non poter praticare uno sport a livello agonistico, i nostri figli possano avere una vita infelice?




(immagine tratta da Blog.Panorama.it)





venerdì 5 novembre 2010

QUANTO CONTANO LE PAROLE

Col passare del tempo, per quanto certi ricordi si affievoliscano, è impossibile cancellarli.
Quello che accade, però, è che col passare del tempo cambi la prospettiva dalla quale li guardi, focalizzando la tua attenzione su aspetti che sul momento non avevi la lucidità di considerare.
Per la prima volta, avendo il tempo cicatrizzato le ferite quel tanto che basta a guardarsi indietro senza sentire dolore, mi sono guardata dall'esterno, dal punto di vista di tutti coloro che, marginalmente, sono rimasti sfiorati da ciò che mi travolgeva.
In quei giorni, c'era una cosa che ti faceva stare a galla, ed erano le parole di chi ti stava accanto. Per quanto banali fossero, per quanto potessero forse sembrare scontate a chi le pronunciava, aiutavano a capire che la vita "normale" - fatta di amici, di pizzerie e di partite di pseudo-pallavolo sulla spiaggia - esisteva ancora, ed era lì, a portata di mano, appena dopo la curva.
Ripensandoci ora, mi rendo conto che per tutti coloro che ci erano accanto - familari, amici, conoscenti- probabilmente la cosa più difficile era parlare. Noi vivevamo ormai in una realtà parallela, in un terribile incubo nel quale una trasposizione dei grossi vasi è tutto sommato una fortuna, perchè avere una diagnosi e aspettare un intervento è già qualcosa, in un mondo in cui i bambini sono in coma, e muoiono. Ma chissà, magari qualcuno di loro, guardandoci dall'esterno, avrà avuto sfiducia, avrà pensato che avremmo dovuto prepararci al peggio, telefonava per chiedere "come va" col terrore che dall'altra parte una voce singhiozzante rispondesse "male", precipitandoci tutti in quel precipizio in cui non si sa cosa dire, e si arranca nel buio.
Ognuno di loro ha reagito in maniera diversa. Alcuni amici hanno pensato che la cosa migliore fosse venire a trovarci, quando possibile, e distrarci portando una ventata di normalità. Approfittare di una bella giornata di sole per portarci, nell'ora "d'aria", a fare una passeggiata.
Altri hanno chiamato una, dieci, cento volte, parlando della "cosa" senza timore, lasciandoci piangere, sfogare, lamentarci. In tutti e due i casi, la loro è stata una presenza preziosa.
Ci sono state poi tante rivelazioni, in positivo o in negativo. Ci sono stati "conoscenti" che, inaspettatamente, non hanno avuto paura del tuo dolore e ti hanno scritto una email piena di dolcezza, nonostante fino ad allora la vostra confidenza fosse stata tutto sommato superficiale. Ci sono state amicizie sottovalutate perchè frequentate poco, che nei weekend di sole hanno preferito essere lì, sul balconcino di Patologia Neonatale anzichè in un parco, sebbene negli anni precedenti non vi foste sentiti che tramite sporadici SMS a Natale e al compleanno.
E ci sono stati gli amici che ritenevi tali e che sono spariti nel nulla, in quelle lunghe settimane, salvo poi rifarsi vivi quando tutto è finito bene per dire "scusami ma non sapevo cosa dirti".

Non so se questo blog capiterà mai sotto gli occhi di qualcuno che si trovi a vivere una storia simile alla nostra ma nel ruolo di "amico dei genitori"; se però questo dovesse accadere, spero che questo post possa essere d'aiuto.
Perchè la cosa peggiore che possa capitare di sentire, è l'amico di una vita che giustifica il suo silenzio dicendo "non sapevo cosa dire"; e lo è ancor di più quando, nello stesso momento, tante altre persone quelle parole le hanno trovate, senza paura.
Capisco che il dolore spaventi. Capisco anche che dire "andrà tutto bene" possa sembrare banale, così come può sembrare scontato prendere qualcuno sottobraccio e costringerlo a prendere un cappuccino ed una boccata d'aria.
Ma in certe situazioni, è tutto ciò che possiamo fare, ed è tantissimo.
Da parte mia ho imparato che non bisogna mai aver paura di dire qualcosa di sbagliato ad un amico, quando questo soffre; perchè quando poi, lentamente, il tempo avrà dissolto tutto il dolore, non resteranno che i ricordi di quei giorni e di tutte quelle persone che, sfidando l'istintivo imbarazzo che il dolore può indurre, sono stati in un modo o nell'altro, "presenti".

venerdì 29 ottobre 2010

NESSUNO TI COLPISCE DURO COME FA LA VITA

Sai, Robert, una volta ti misi qui, nel palmo della mia mano, ti tirai su e poi dissi a tua madre: "Questo è il più bel bambino del mondo. Guarda, Adriana, questo bambino diventerà certamente qualcuno!" E tu crescevi bello, sano, forte; vederti crescere ogni giorno era una cosa meravigliosa. E quando è venuto per te il momento di diventare un uomo, di affrontare il mondo, l'hai fatto. Ma qualcosa, lungo il tragitto, ti ha fatto cambiare, non sei esistito più. Hai permesso al primo fesso che arrivava di farti dire che non eri bravo, sono cresciute le difficoltà, ti sei messo alla ricerca del colpevole e l'hai trovato in un'ombra. Ora ti dirò una cosa scontata: guarda che il mondo non è tutto rosa e fiori, è davvero un postaccio misero e sporco e per quanto forte tu possa essere, se glielo permetti, ti mette in ginocchio e ti lascia senza niente per sempre. Nè io, nè tu, nessuno può colpire duro come fa la vita. Perciò, andando avanti, non importa come colpisci, l'importante è come sai resistere ai colpi, come incassi, e se finisci al tappeto hai la forza di rialzarti. Così sei un vincente! E se credi di essere forte lo devi dimostrare che sei forte, perchè un uomo vince solo se sa resistere, non se ne va in giro a puntare il dito contro chi non centra, accusando prima questo e poi quell'altro di quanto sbaglia. I vigliacchi fanno così, e tu non lo sei! Non lo sei affatto!

Non sono propriamente una fan della saga di Rocky. Eppure, ascoltando questa frase, scopro tutt'a un tratto la calzante analogia dell'incontro di boxe con la vita.
Tutti noi, riemersi più o meno indenni da un dolore che temevamo ci avrebbe sommerso, ci siamo seduti in un angolo, scoprendoci non soltanto vivi, ma addirittura più forti. E, contandoci le cicatrici, tutti noi abbiamo scoperto la straordinaria forza insita nell'animo dell' uomo.
E' vero, la vita colpisce e colpisce duramente; e talvolta, in barba alle regole, colpisce basso.
Quando questo accade, conta poco affannarsi a cercare, di qua e di là, il colpevole delle tumefazioni, sta a noi e soltanto a noi opporre il petto e resistere.
Improvvisamente, con la lucidità che solo il tempo può restituire, mi rendo conto che in quelle ore, in quelle settimane, sarebbe stato un attimo, finire al tappeto. Probabilmente, sarebbe stata la scelta più facile, lasciarsi cadere sotto i colpi della vita, perchè che senso può avere combattere contro qualcosa che è fuori dal nostro controllo?
Eppure, abbiamo resistito. Abbiamo incassato. E ci siamo lasciati tutto alle spalle. Guariscono le ferite, i lividi sbiadiscono, si sgonfiano gli ematomi. Quello che resta, è la consapevolezza di essere rimasti in piedi sotto i colpi.

Per questo voglio proporre questa semplice riflessione, a tutti coloro che, trovandosi in balia della vita, faticano ad aggrapparsi a qualcosa. Vedere un bambino di pochi giorni di vita intubato e infilzato di aghi ti colpisce con la forza di un pugno in faccia. Se quel bambino è tuo figlio, il colpo è tanto forte che pensi "ecco, adesso succede, ora finisco al tappeto".
Ma come genitori abbiamo un compito, uno soltanto: essere forti. Dimostrare ai nostri bambini che per quanto la vita possa colpire duro, non si deve mai mollare. Anche quando ti colpisce alle spalle.

venerdì 8 ottobre 2010

UN INTERVENTO RIVOLUZIONARIO AL BAMBIN GESU' DI ROMA

Il più delle volte, la Storia segue il suo flusso distante dalla quotidianità delle nostre vite. Poi accadono cose che mutano bruscamente, in corsa, il tuo binario, portandoti a contatto con persone che la Storia non solo la vivono, ma la "fanno".
E succede che, in una dorata giornata autunnale, il web e i telegiornali rimbalzino una notizia come questa (qui il link alla notizia per intero, sul sito del Sole 24 Ore):

Quindicenne riceve cuore artificiale permanente. Storico intervento all'ospedale Bambino Gesù di Roma

E scopri che lo stesso, straordinario chirurgo che ha operato tuo figlio - ma dire operato è forse riduttivo; direi piuttosto colui che ha fermato il cuore di tuo figlio, sollevato le coronarie, tagliato arteria polmonare e aorta, le ha invertite rimettendo poi le coronarie al loro posto - si è reso protagonista di un intervento miracoloso. Non sto qui a commentare la notizia dal punto di vista strettamente medico, non ne avrei nè i mezzi nè le competenze. Quello che voglio sottolineare è che forse, tutti noi - e per "noi" intendo noi Italiani - dovremmo imparare di tanto in tanto a fermarci ed anzichè piangerci addosso per tutto ciò che non abbiamo, sentirci orgogliosi per ciò che abbiamo.
Per esempio? Abbiamo ospedali pediatrici meravigliosi e, gioiello tra i gioielli, abbiamo a Roma una struttura all'avanguardia nella cardiochirurgia, in grado di realizzare interventi unici al mondo. Chi come noi ha avuto - nella sfortuna - la sfortuna di entrarci, sa di cosa parlo. Infermieri straordinari, in grado di trattare con i genitori in un momento tanto delicato come quello della terapia intensiva, riuscendo a strapparti un sincero sorriso e di farti uscire da quella stanza con la certezza di aver lasciato tuo figlio in mani amorevoli. Medici pieni di passione, che anche dopo undici ore di intervento trovano il tempo e la pazienza di rispondere alle tue domande. Volontarie dolcissime, sempre presenti.
Ci raccontò, a suo tempo, un gentilissimo (ed orgogliosissimo!) infermiere della TIC, di come dagli Stati Uniti venissero fior fior di Professori appositamente per studiare - ed imparare - "da noi". Forse noi lo diamo per scontato, nella nostra facilità nel lagnarci, ma interventi come questi, e come quello di mio figlio, hanno un costo stellare. E se non si ha l'assicurazione sanitaria, negli USA non c'è modo di poterseli permettere; ciò vuol dire che non ci sono DAVVERO speranze, quando il medico ti comunica certe diagnosi. Se il cuore con cui nasci non pompa bene, se le arterie non escono dal ventricolo giusto, sei fuori dai giochi.
Eppure proprio qui, nella nostra Italietta malfunzionante, malgrado la nostra martoriata sanità c'è ancora qualcosa che funziona, e funziona bene; ed è giusto che questo qualcosa abbia il risalto che merita.
E allora, al professor Amodeo, io per l'ennesima volta voglio dire grazie, perchè è stato lui a mettere al mondo una seconda volta mio figlio, mettendo le sue mani lì dove la Natura aveva bizzarramente fallito.

Vi consiglio di ascoltare, in questo video:




l'intervista al prof. Antonino Amodeo a Radio IES, nella quale è lui stesso a descrivere le modalità dell'intervento e le sue prospettive future.

mercoledì 29 settembre 2010

QUANDO LA TECNOLOGIA SCALDA IL CUORE

Ho conosciuto tante mamme, grazie ad internet. Strano a dirsi, no? Siamo sempre tutti qui a lamentarci di quanto il mondo sia diventato freddo e cinico, per colpa della tecnologia; e invece qualche volta, questa tecnologia suo malgrado finisce per unirci davvero.
Ho scoperto che è molto più facile superare gli ostacoli quando non si è soli. Sembra una banalità, ma è qualcosa di cui difficilmente ci si rende conto fino a quando la vita scorre liscia sui suoi binari; ma quando tutto a un tratto la vita deraglia, è bello scoprire che si riesce, col tempo, a risollevare la locomotiva e farla ripartire. Ammaccata, questo sì; ma sempre perfettamente funzionante.
Tramite internet ho preso contatto con tante mamme; alcune hanno affrontato tutto questo anni fa, altre sono nel bel mezzo del deragliamento e cercano in internet - proprio come facevo io, poco più di un anno fa - una speranza alla quale aggrapparsi. A volte mi sento ancora un po' sospesa a metà, tra le mamme che hanno archiviato finalmente tutto quanto sotto la voce "brutti ricordi" - ma che sentono ancora qualche doloretto, quando qualcosa li riporta alla mente, come succede quando cambia il tempo ha chi ha avuto una frattura - e quelle che sono ancora scombussolate come solo chi si scopre dentro una realtà irreale può essere.
Più passa il tempo, più la cicatrice si chiude lasciandomi la tranquillità di guardare da lontano quello che è stato, dicendomi "è tutto passato".

Ecco, questo è il motivo per cui voglio approfittare di questo post per segnalarvi due gruppi davvero "di cuore"; due gruppi nati addirittura su Facebook, dove la gran parte degli utenti si connette per condividere banalità e postare foto della cena in pizzeria in cui Tizio abbraccia Caio e fa una smorfia e poi Caio fa finta di strangolare Tizio e chi più ne ha più ne metta.

Il primo è ESSERE CARDIOPATICO, nato per riunire persone di tutte le età operate al cuore ma anche genitori di bambini operati o in attesa di intervento. Il secondo è TRASPOSIZIONE DELLE GRANDI ARTERIE (TGA) ED ALTRE CARDIOPATIE CONGENITE, creato dal papà di una bambina operata alla nascita - ormai due anni fa - per TGA. In tutti e due i casi, un punto di riferimento per chi abbia voglia di condividere le proprie emozioni, dubbi e paure. Ci si scambia consigli, ci si solleva il morale, si discute di esperienze comuni e si divulgano informazioni. Ma ciò che conta di più, ci si sente meno soli; e magari, si può ritrovare un filo sottile di speranza nell'ascoltare le storie - e vedere le foto! - di così tanti bambini che ce l'hanno fatta.
Come dire, anche Internet sotto sotto ha un cuore.

mercoledì 11 agosto 2010

UNA CANZONE CHE SOLO NOI POSSIAMO CAPIRE...

C'è una canzone che ho appena scoperto, e mi dà i brividi.
Prima d'ora non avevo mai ascoltato nulla degli Athletes, nè - ammetto la mia ignoranza- avevo mai sentito parlare della band; sulla versione inglese di wikipedia potete trovare una breve biografia con discografia annessa. Poi, all'improvviso, mi fanno ascoltare una ballata di una dolcezza struggente, raccontandomi la storia del giovane cantante la cui bambina, alla nascita, viene trasportata di corsa in terapia intensiva perchè prematura. Un ospedale pediatrico lascia un'impronta indelebile nell'animo di chiunque ci metta piede - anche solo per pochi giorni - ed ancora di più quando vi si entra col terrore che il nostro bambino possa non farcela.
Ecco, questa è la canzone che dà voce a tutto questo, al dolore di chi insegue un'ambulanza-cicogna senza neppure aver smaltito l'emozione del parto, all'angoscia dell'attesa, al cuore che si spezza vedendo l'immagine di quei fili che avviluppano il corpicino di tuo figlio come in un filmaccio di fantascienza. I fili. E' da lì che parte la canzone, ed è lì che torna ogni volta la mente, quando giocandoti un brutto scherzo ti ripiazza davanti i ricordi.

You got wires, goin in
You got wires, comin out of your skin
You got tears
Making tracks
I got tears
That are scared of the facts

Running down corridors
Through automatic doors
Got to get to you
Got to see this through
I see hope is here in a plastic box
I've seen christmas lights reflect in your eyes

You got wires, goin in
You got wires, comin out of your skin
There's dry blood on your wrist
Your dry blood on my fingertip

Running down corridors
Through automatic doors
Got to get to you
Got to see this through
First night of your life
Curled up on your own
Looking at you now
You would never know

I see it in your eyes
I see it in your eyes
You'll be alright

I see it in your eyes
I see it in your eyes
You'll be alright
Alright

Running down corridors
Through automatic doors
Got to get to you
Got to see this through
I see hope is here in a plastic box
I've seen christmas lights reflect in your eyes

Down corridors
Through automatic doors
Got to get to you
Got to see this through
First night of your life
Curled up on your own
Looking at you now
You would never know

Un testo che mette semplicemente i brividi.

Se volete, trovate su youtube il video, in questo link.

giovedì 15 luglio 2010

FILOSOFIA DI UN UOMO SENZA GAMBA

In vacanza abbiamo conosciuto un uomo con una protesi ad una gamba, persa in seguito ad un incidente sul lavoro. Una persona assolutamente semplice, un meccanico, non uno di noi ex universitari, che ci siamo lentamente ammuffiti sui libri nel limbo della facoltà, in attesa di un lavoro che difficilmente ci avrebbe esposto al rischio di vederci una gamba tranciata.
Un omone di cento chilogrammi costretto su una sola gamba, come una gru. Un omone di cento chili che snocciola con semplicità, in riva ad un mare di cristallo, la sua sorprendente filosofia di vita.
E' sorprendente sentire qualcuno che, raccontandoti dei suoi sedici interventi, del dolore di scoprirsi privo di un arto, della paura della morte conclude poi dicendoti che in ospedale ne ha viste davvero di tutti i colori, " e io fortunatamente stavo bene".
Difficile anche solo lontanamente rendere per iscritto quello che si prova nel sentire tanta forza vitale espressa in poche, schiette frasi. Quando ha ascoltato la storia del nostro piccolo eroe, quest'omone grande e grosso - uno che s'è rimboccato le maniche e ha messo personalmente mano alla sua protesi, perchè i dottori saranno pure cervelloni, ma non pensano certo che un uomo amputato abbia bisogno di arrampicarsi sugli scogli per andare a pesca - si è sentito improvvisamente vicino a quel piccoletto solcato da una cicatrice lunga tutto il petto, come un pallone da rugby. Ogni giorno, in spiaggia, gli stingeva la manina tradendo una certa emozione, dicendo che quello era un ragazzo forte, che loro due si capivano, che erano due sopravvissuti. E, incredibile a dirsi, il nostro nanetto evidentemente sentiva che quell'omone enorme gli era vicino, perchè non perdeva occasione per andare a giocare vicino a lui, col suo camioncino, e salutandolo lanciandogli spontaneamente un bacino con la manina (cosa che, di solito, dobbiamo essere sempre noi genitori a sollecitargli, perfino con i nonni).
Ora, io credo fermamente in mio figlio e nella sua capacità di conoscere le persone; potrà sembrare un'ingenuità da parte mia, ma penso che lui, ancora così piccolo e non avviluppato nella rete del linguaggio, sia guidato dall'istinto. Come spiegare altrimenti, un bambino che spontaneamente sorride ad un uomo che tutto il resto della spiaggia (adulti compresi), ignora con un silenzio imbarazzato perchè incapaci di distogliere altrimenti lo sguardo dal suo moncherino?
Evidentemente quel suo cervellino sempre in fermento, sempre attento e curioso, deve aver percepito "qualcosa", in quella persona che lo guardava con gli occhi luccicanti, e che con una punta di commozione gli diceva "sei forte.. è forte, questo bambino, è forte..." guardandolo correre scalzo sulla sabbia.
L'ultimo giorno, per salutarci, l'uomo con una gamba sola ci ha regalato un cartoccio di uova fresche, direttamente dalle sue galline, per il nostro piccolo eroe, la semplicità e la spontaneità di questo regalo ci hanno spiazzato e commosso. E fatto riflettere su come, tutta questa esperienza, ci abbia cambiati, ci abbia resi forse più recettivi di fronte al dolore degli altri, ampliando il nostro orizzonte e aiutandoci a scoprire che al di là del dolore è possibile scoprire una vita felice, normale, forse anche migliore. Tutto sta ad attraversare l'inferno con coraggio, sbucando fuori dall'altra parte, bruciacchiati ma intatti.
La cosa più importante che ho imparato da quest'uomo è stato quello che da sempre pensavo, anche se con una punta di timore: che delle cose bisogna parlare, che non si deve aver paura a chiamarle col proprio nome, che nascondere qualcosa che è irrimediabilmente parte di noi vorrebbe soltanto dire emarginarsi. Spesso con mio marito parliamo di come gestire la storia dell'intervento; lui tende più al "parlarne il meno possibile", mentre a mio parere è solo parlando che una cosa tanto spaventosa possa diventare routine. Conoscere quest'uomo, in grado di passare un'ora ad illustrarti nel dettaglio la sua protesi, raccontandoti di come l'ha riadattata alle sue esigenze e di come adesso funzioni meglio, mi ha aiutato a capire che questa è la via più giusta; che se si ha una cicatrice lungo tutto il petto, inutile ammantarsi di mistero, costringendo gli altri a fissarti in un silenzio imbarazzato, pensando che tu possa essere a disagio, molto meglio dire semplicemente "mi sono operato", punto e basta. Se la vita ci ha lasciato addosso dei segni, faranno parte di noi per sempre, volenti o nolenti, come il colore degli occhi o dei capelli. So che un giorno mio figlio mi chiederà perchè lungo il suo petto c'è quel segno; ma adesso ho fiducia in me stessa, penso di aver individuato qual'è la strada da intraprendere.


E' in occasioni come queste, quando la vita con le sue giravolte ti mette sulla strada - apparentemente, per un capriccio del caso - persone che hanno qualcosa da insegnarti, che percepisco con forza che deve per forza esserci, dietro tutto questo, un disegno che noi non siamo in grado di vedere.

giovedì 24 giugno 2010

CESARE, THE BOY WHO LIVED

Di tanto in tanto, nel web, mi imbatto in storie che mi colpiscono. E' stato così che sono capitata sul blog del piccolo Cesare, operato di Truncus arteriosus, 3 casi su 10 mila bimbi nati. Una storia che inizia nel 2004 ed arriva fino ad oggi; una storia che dà i brividi a chi, come me, in un ospedale pediatrico c'è stato, e quella sensazione terribile di impotenza l'ha provata sulla sua pelle.
E' bello scoprire che, sospese nel blog, galleggiano altre storie di piccoli eroi; mi piace molto l'immagine di questi piccoli Harry Potter che portano sul petto la cicatrice che "è il marchio della voglia di vivere anche quando i numeri ti dicono statisticamente morto."
E' bello vedere che altre mamme hanno voglia di raccontare quello che hanno vissuto, che altre mamme vogliono rompere questo nauseante tabù che talvolta vedo invischiare le persone, percui "del dolore non si parla". Sembra quasi che nel mondo si abbia imbarazzo delle lacrime, imbarazzo della sofferenza altrui, percui tanto meglio non parlarne, per non imbarazzare chi vive felice la sua vita di cicala e non ha voglia di concentrare i propri neuroni per comporre frasi adatte.
Personalmente, ritengo invece che questo muro vada infranto; perchè la cosa peggiore che ricordo, di quei giorni - per certi versi anche peggiore dell'immagine di lui in terapia intensiva - erano quelle terribili frasi "non ti ho chiamato perchè non sapevo che dirti".

Ecco perchè condivido volentieri il link a questo blog presentandolo con le sue stesse parole; parole che, leggendole, mi sono sentita sotto la pelle come fossero mie:

"C’è qualcosa che non va sul cuore
Parole che ti cambiano la vita.

Niente sarà più come prima.
E, in ogni caso, indietro non si torna.

Nessuno di noi avrebbe mai immaginato che il proprio figlio nascesse con un cuore burlone.
Nessuno l’avrebbe scelto a priori.

Ma, una volta che la vita ti chiama a questo ballo, è bello scoprire che non è la fine del tuo mondo ma l’inizio di un percorso fatto di piccoli passi, di attese infinite, di speranze sussurrate, di tempo e pazienza.
Una grande lezione di vita, quella con la V maiuscola, miniata e istoriata.

Più o meno come attraversare un ponte tibetano avvolto nella nebbia, avendo come unica guida un cucciolo concentrato di coraggio.

Perché le battaglie sono tutte sue.
E noi dietro, a tenere il suo passo, anche quando la strada è così ripida che ti taglia le gambe, ti scoppia il cuore, ti cedono i nervi.

Ma poi, andando avanti, si scopre che questo viaggio faticoso è pieno di mani che si allungano verso di te ogni volta che credi di non farcela più.

E si impara che non si è gli unici ad aver ricevuto questa tegola in testa.
E che c’è sempre un dopo.
Anche quando sembra che il sole non debba sorgere mai più."

(dal blog iBaby - Cesare, the boy who lived)

Mille grazie ai genitori di Cesare, e a tutti coloro che, condividendo la loro storia, alimentano la speranza in chi tutto questo lo deve ancora affrontare.
Nel mio piccolo, era la ragione che mi ha spinto ad aprire il blog. E, sempre nel mio piccolo, è la ragione che ancora mi spinge a scrivere.

.. IL DOLORE DEGLI ALTRI ...

.. La cosa paradossalmente più difficile da accettare, ad un anno di distanza, è che non tutte le storie terminano con un lieto fine. Nella filosofia spicciola cui siamo abituati, questo dovrebbe essere un bene ("non piangerti addosso! Pensa a chi sta peggio!"); eppure è come se l'esperienza passata mi abbia lasciato alcuni nervi scoperti.
Ho passato l'ultimo anno a cercare in ogni modo il contatto con altri genitori che abbiano vissuto - o stiano vivendo - esperienze simili, perchè sentivo l'esigenza di condividere, di parlare, di ascoltare.
Inevitabilmente, così facendo sono venuta a conoscenza di tante mamme "mancate", ho seguito storie che non hanno avuto un lieto fine come il mio, ho pianto insieme a loro come se quei bambini sconosciuti fossero stati mio figlio. Mamme che mettono al mondo bimbi per poi vederli morire dopo pochi mesi, sopraffatti da una malformazione troppo complicata. Mamme costrette a prendere la decisione più difficile, quella di mettere fine alla vita che hanno in grembo sapendo che, altrimenti, non avrebbero alcun tipo di futuro. Mamme splendide e coraggiose, in grado di rialzarsi e andare avanti anche quando la vita cerca in tutti i modi di spezzarle.
Le ho guardate e ammirate, perchè io, nella mia infinita debolezza, continuo a soffrire per le piccole cose che mi sono mancate - pur scoppiando di gioia, ogni volta che vedo mio figlio ridere.
Conoscere il dolore degli altri spinge a tante domande. Mi sono chiesta infinite volte quale sia il senso, nell'economia dell'universo, di queste piccole vite fragili, spezzate a pochi giorni dal loro inizio, o quando sono ancora avviluppate nel conforto protettivo della pancia della mamma. Mi sono chiesta il perchè, talvolta, il destino sembri accanirsi contro persone splendide, ricche di sensibilità e di gioia di vivere, alle quali viene sottoposta una prova dopo l'altra, mentre a chi vive beatamente immerso nella propria superficialità la vita sembra offrire tutto su un piatto d'argento.
Inutile dire che una risposta non l'ho saputa trovare in alcun modo. L'unica, piccola illuminazione che ho avuto, è stata che probabilmente questi piccoli "angeli" (parola di cui talvolta si abusa stucchevolmente, parlando di piccoli pazienti.. ma non saprei come altro definirli), passano di qui solo per insegnarci che c'è ancora speranza, per tutti noi, perchè siamo in grado di emozionarci e soffrire per uno sconosciuto, perfino tramite web. Magra, magrissima consolazione, mi rendo conto. Ma in un'epoca in cui tutto è apparenza e vuoto, ho imparato questa importantissima lezione, che in un forum, o su facebook, o sul tanto demonizzato web circolano anche emozioni autentiche, e che queste emozioni sanno unire gli individui in una rete.
E poi c'è la grandissima lezione di queste mamme, che ti raccontano la loro vita - in alcuni casi costellata non di una, ma di tante "ammaccature" - con tanta delicatezza, facendoti capire come, malgrado tutto, sopravvivendo al dolore si diventa più forti, più profondi, più "uomini" in senso lato, probabilmente.
E che abbiamo tutti tantissimo da imparare da chi soffre.

martedì 15 giugno 2010

ELISA IN CONCERTO PER L'OSPEDALE PEDIATRICO BAMBIN GESU'

Chi come me è passato attraverso l'Ospedale Pediatrico Bambin Gesù, sa che tra quelle mura si operano quotidianamente piccoli grandi miracoli. Chi ha conosciuto l'ospedale ha conosciuto la grande umanità di medici e infermieri, i turni di lavoro massacranti affrontati sempre col sorriso, la disponibilità di chi decide di dedicare la propria vita ai bambini. La parola che più spesso ricorre sulle labbra dei genitori dei piccoli pazienti è una sola: "angeli"; una definizione forse banale, ma come altro definire coloro che si prendono cura di tuo figlio proprio nel momento in cui ti senti più impotente, proprio quando temi di perderlo, e gli restituiscono un futuro?
Anche gli angeli, però, talvolta hanno bisogno del banale e concreto denaro, perchè per salvare la vita ai bambini occorrono macchinari, e i macchinari costano; ecco dunque che come spesso accade è la musica a correre in soccorso degli angeli in camice verde.

Giovedì 8 luglio 2010 alle ore 21.00 presso la Cavea dell'Auditorium Parco della musica, Elisa terrà un concerto dal vivo il cui incasso verrà devoluto interamente all'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, appunto.
L'obiettivo? Regalare all'ospedale una nuova TAC multistrato, apparecchiatura che consentirà con un unico esame diagnosi particolarmente complesse e destinata al trattamento dei piccoli pazienti con più traumi.
L'evento è organizzato da Unicredit Group in occasione dell'East Forum 2010; per tutte le informazioni e i dettagli vi rimando al sito http://www.auditorium.com/eventi/4975214.

Sarà che, in quelle lunghe settimane di ospedale, c'è stata una canzone di Elisa che mi ritrovavo sempre a canticchiare sottovoce, cullando il mio bimbo con le lacrime agli occhi, ma per me la sua voce è qualcosa di indissolubilmente legato all'angoscia di quei momenti, un piccolo conforto che adesso, a riascoltarla, mi strappa sempre qualche lacrimuccia di commozione:




Non potevo perciò non segnalare questa iniziativa nel blog.
Con la speranza che, per tutti i piccoli pazienti, ci sia sempre una poesia ad attenderli al di là dell'orizzonte.

lunedì 7 giugno 2010

La relatività del dolore....

Ecco, queste sono le notizie che mi fanno letteralmente ribollire il sangue nelle vene. Elisabetta Gregoraci, moglie di Flavio Briatore e mamma del piccolo Falco Nathan che piange disperata sostenendo di aver perso il latte a causa dello shock per il sequestro del loro yacht di lusso. All'inizio, sentendo la notizia, pensavo di aver frainteso. Come è possibile che una donna possa essere a tal punto estraniata dalla realtà da poter ritenere QUESTO uno shock?
http://www.pilloledalmondo.it/elisabetta-gregoraci-latte-perso-dopo-il-blitz-sullo-yacht-di-briatore/
Per carità, capisco tutto, capisco la relatività, capisco che quando si è abituati ad avere uno yacht vederselo sequestrare dalle Guardie di Finanza possa a suo modo essere un trauma.. quello che non capisco e la superficialità, la presunzione di piangersi addosso apertamente, rilasciando dichiarazioni che per le mamme come me che sono passate attraverso un ospedale pediatrico suonano come tante coltellate.
Lei perde il latte perchè le sequestrano lo yacht. Io, e tante altre, ci siamo aggrappate con le unghie e coi denti ai tiralatte, nonostante non ne uscissero che poche gocce, perchè quello era tutto che potevamo fare per i nostri figli. Ci siamo sentite dire che era comunque un miracolo che dopo lo shock di una diagnosi del genere ("suo figlio dovrà essere operato al cuore entro i primi giorni di vita, lo stiamo già trasferendo all'ospedale per un primo intervento d'urgenza") eravamo comunque riuscite a conservare il latte. Ce l'abbiamo messa tutta affinchè i nostri bambini non vivessero il riflesso della nostra angoscia, perchè loro nelle loro cullette in attesa di intervento erano completamente inconsapevoli di quanto stava avvenendo, e per questo, nonostante tutto, sereni.
Leggere che per lei lo shock di perdere lo yacht ("Ho dovuto lasciare la culla, il fasciatoio, le medicine, i prodotti speciali per la pulizia del piccolo. Tutto, insomma. Questa era diventata la sua casa in attesa che finissero la nostra nuova abitazione a Montecarlo, questione di giorni. È stato un trauma per me e per il bambino“) possa averle causato un trauma peggiore di quello di vedere il proprio bambino in lotta per la vita è a dir poco nauseante. Con tutto il cuore spero per lei che siano storpiature giornalistiche, non posso credere che un essere umano possa essere tanto al di fuori di ciò che accade del mondo da non chiedersi nemmeno per un istante: ma davvero è un dramma ciò che mi sta capitando?
Non posso credere che per una mamma la cosa più importante al di sopra di ogni cosa non sia avere comunque il proprio bambino sano e in forze, tra le braccia. Non posso credere che la scocciatura di dover ricomprare culla e fasciatoio, lo stress di dover trovare un nuovo tetto "provvisorio" (stento a credere che in attesa della nuova abitazione a Montecarlo la signora Briatore non abbia altro posto dove dormire..), tutto questo l'abbiano a tal punto sopraffatta da farle dimenticare che è al di là di tutto, una donna fortunata.
Eppure io non farei mai a cambio, con una fortuna che mi privi della capacità di giudicare lucidamente ciò che mi accade, che mi porti a piangermi addosso più del dovuto per ciò che perdo, offuscandomi la vista su ciò che ho.
Io non ho perso niente, è vero, perchè la gioia di allattare non l'ho mai avuta - o perlomeno, ho potuto provarla per la prima volta soltanto dopo un mese di trepidante attesa - ma sono contenta così. Sono contenta perchè ho combattuto e ho vinto.

martedì 4 maggio 2010

CARDIOPATIE CONGENITE E SPORT

Dal sito del CONI è possibile scaricare un interessante articolo, nel quale vengono trattate le principali cardiopatie congenite e la possibilità di praticare sport a livello agonistico:

http://scienza.coni.it/index.php?id=103&tx_ttnews[tt_news]=25&tx_ttnews[backPid]=79&lim=10&cHash=27cad1604


Lo segnalo - aggiungere qualsiasi commento sarebbe superfluo, dato che l'articolo è già di per sè molto approfondito - perchè penso possa essere utile per i genitori che, superata la prima terribile fase in cui l'ansia per l'intervento riempie completamente i loro pensieri, cominciano a setacciare la rete in cerca di informazioni su tutto ciò che possa in qualche maniera contribuire ad alleviare la nostra sete di vita "normale".

Nel nostro caso specifico (TGA), molto probabilmente l'attività agonistica sarà off-limits; strano come questa notizia, lì per lì, mi aveva gettato nel più feroce sconforto. Mi sembrava quasi che questo bandisse definitivamente mio figlio dalla normalità, nonostante nè io, nè mio marito, nè alcun altro membro delle nostre famiglie fosse in effetti uno "sportivo", anche solo a livello amatoriale. Ma tant'è, la lingua batte dove il dente duole, e il dolore ci spinge spesso ad autoalimentarlo con pensieri cupi. Soltanto il passare del tempo è riuscito a scacciare via quel sapore amaro, consentendomi di guardare alle cose con lucidità.

martedì 20 aprile 2010

candeline ...

... il primo compleanno, per i genitori di un cuoricino operato, ha una duplice valenza. C'è la gioia, naturalmente, quella di qualsiasi genitore al quale "sembra ieri" che aveva tra le mani un affaretto indifeso, incapace perfino di reggere da solo la testa, e invece, tutt'a un tratto, ecco una personcina in miniatura in grado di immergere le manine voluttuosamente nella sua torta di compleanno, con un sorriso impertinente.
Ma c'è anche qualcosa di più. C'è il ricordo di quelle lunghissime ore inchiodati su divanetti polverosi, in attesa che la porta della sala operatoria si spalanchi, che qualcuno - cuffia in testa e mascherina abbassata sul mento - si affacci infine per dire "è tutto a posto, l'intervento è terminato". C'è l'immagine di tuo figlio - simile a un bambolotto di cera - sedato, in un groviglio di tubi, il cuoricino ricucito pulsante sotto le bende, e la paura incomfessabile che quegli occhi possano non riaprirsi più. C'è l'odore del disinfettante, il rito della vestizione - camice di carta e sovrascarpe -, ci sono i sorrisi tirati scambiati con gli altri genitori, fino al momento in cui la porta della Terapia Intensiva si spalanca e tutti corrono dentro, ognuno verso la propria culletta, sperando di avere abbastanza tempo a disposizione per dare a tuo figlio tutte le coccole che un bambino di due settimane di vita si merita. C'è l'emozione di quel giorno in cui un'infermiera - splendente come un angelo, nei tuoi ricordi - è venuta a dirti che quella mattina sareste stati dimessi; c'è la trepidazione con cui hai percorso il reparto con il tuo tesoro più prezioso finalmente addormentato nella sua navicella Peg Perego, quasi temendo che qualcuno, sbucando fuori da un angolo, ti dica "ehi, dove stai andando, non è mica tuo, non puoi portartelo a casa".
Ci sono queste e centomila altre immagini che vorresti veder prendere fuoco assieme allo stoppino della candelina, ma sai benissimo che non te ne libererai mai, neanche quando davanti a te avrai un uomo grande e grosso con una sottilissima cicatrice invisibile sotto i peli del petto.

Ma l'unica cosa che conta è che lì, davanti a te, hai un bambino assolutamente inconsapevole della grande avventura di cui è stato protagonista, che sorride sereno davanti all'obiettivo, con semplicità.
E allora pensi finalmente che è tutto archiviato.

giovedì 8 aprile 2010

essere cardiopatico

Ci sono storie che vale la pena di raccontare, perchè possano essere di esempio agli altri; sono spesso storie straordinarie di eroi, di imprese leggendarie, di miracoli, ma ancor più spesso sono semplici storie di chi, nella quotidianità, ha trovato davanti a sè un ostacolo, e l'ha superato.
Ecco perchè quando ho scoperto l'esistenza di questo blog: http://cris-esserecardiopatico.blogspot.com/non ho potuto non provare una stretta al cuore. Tanto per cominciare, mi sono resa conto che lo stesso desiderio impellente che ho provato io - di raccontare, di condividere, di poter finalmente guardare al dolore passato senza paura - è comune ad altri che abbiano vissuto un'esperienza simile.
Ma ancor di più, ho trovato in questo blog la risposta ai mille interrogativi che, da mamma, affollano la mia mente da mesi, da quel lontano (ahimè, mai abbastanza!) giorno in cui, a poche ore dal parto, la mia vita ha cambiato bruscamente binario.
Ok, continuo a pensare, il peggio è passato. Ma dopo? Cosa verrà? Sarà felice mio figlio? E soprattutto, saremo in grado noi genitori e nonni di spiegargli quella sua cicatrice senza per questo renderlo "diverso"? Sento gravare sulle mie spalle l'enorme peso di quella responsabilità, perchè se in quelle lunghe ore in sala operatoria ho potuto fare ben poco per lui, sento che è ora, passo dopo passo, che il nostro ruolo si fa cruciale.
Ecco perchè consiglio di leggere questo blog, e in particolare il post intitolato "Crescere cardiopatica", perchè aiuta noi genitori a vivere questa esperienza attraverso gli occhi dei nostri figli, perchè ci fa capire, con molta semplicità, che la voglia di correre, giocare, buttarsi alle spalle tutto ciò che c'è stato di negativo, la voglia di gioire devono essere la nostra guida. Perchè guardando le cose da un'altra prospettiva, quella di chi quella cicatrice se la porta addosso, e ci convive, tutto diventa terribilmente semplice.
Leggo le parole di Cris, ed è come sentir parlare mio figlio - che non ha nemmeno un anno, ma lo si capisce dai sorrisi, dall'amore per la piscina, dalla caparbietà che mette nei primi passetti traballanti, dal coraggio con cui tenta di arrampicarsi sui divani per poi caderne a testa in giù, lo si capisce da tante piccole cose che anche lui, dentro, scoppia dalla voglia di vivere la sua vita senza che tutti noi, intorno, cerchiamo di intrappolarlo in una campana di vetro.

E allora, con semplicità, ce la metteremo tutta.

mercoledì 7 aprile 2010

robot in sala operatoria

Ho trovato molto interessante questo articolo - a dire il vero risalente a più di un mese fa- del Corriere della Sera:

http://www.corriere.it/salute/cardiologia/10_febbraio_16/chirurgo-robot-cuore-battente_ff6dbb1c-f6f2-11de-8c4c-00144f02aabe.shtml

Pare infatti che la robotica, già applicata ad altre branche della chirurgia, stia per essere impiegata anche sul cuore; un braccio meccanico in grado non soltanto di operare "meccanicamente" sotto la guida del chirurgo umano che lo controlla tramite una console, ma anche di prevedere i movimenti del cuore mentre batte, coordinando così i propri movimenti a quelli dell'organo - e dell'intero torace mentre respira - così da operare in tutto e per tutto come se il cuore fosse fermo.

Ad oggi il cardiochirurgo robotico non è che un progetto tridimensionale computerizzato (in corso di studi presso l'università di Montpellier, in Francia) che ancora necessità di aggiustamenti e correzioni, ma è comunque affascinante immaginare come, in un futuro prossimo, macchine e uomini possano cooperare tanto strettamente da far pensare ad una storia scritta dalla penna di Asimov.
Senza nulla togliere a quegli uomini che, quotidianamente e con le loro semplici mani, compiono in sala operatoria piccoli miracoli. Per chi, come me, li ha incontrati, non c'è braccio robotico che possa rimpiazzarli, perchè è proprio la loro straordinaria umanità a renderli speciali.

venerdì 26 marzo 2010

... un senso ....

Per mesi e mesi, le domande che mi sono posta sono state sempre le stesse: "perchè?" "perchè io?" "perchè mio figlio?". Difficilissimo darsi una risposta, dando un senso alla sofferenza di questi piccoli angeli innocenti. I bambini dovrebbero starsene nelle loro cullette, circondati di carillon a giostrine, nelle loro camerette decorate con tanta emozione nella lunga, trepidante attesa. Dovrebbero avere intorno a sè pareti tinteggiate di rosa confetto e azzurro cielo, lampadari a forma di mongolfiera, orsacchiotti di peluche, cestini adorni di fiocchetti con dentro il borotalco, l'olio di mandorle e tutto ciò che profuma di tenerezza; e invece sono lì, nudi, quasi inchiodati su quei lettini della TIC, un cerotto grosso quasi quanto loro a coprirgli il petto, un tubo infilato nel naso, i piedini scalzi, le piccole braccia intrecciate di tubicini.
Eppure deve esserci, un senso in tutto ciò. Non posso credere che mio figlio abbia sofferto per un puro capriccio del caso, che io porterò quelle immagini impresse a fuoco nella mia mente senza che abbiano un significato se non quello di saltar fuori all'improvviso, nel cuore della notte, tormentando i miei sogni. Niente accade per caso, magari talvolta ci vuole del tempo, ma prima o poi tutto diventa chiaro.

"Accadono cose che sono come domande.
Passa un minuto, oppure anni, e poi la vita risponde."


Scrive Baricco in "Castelli di rabbia"; e forse per la prima volta ho veramente chiaro il senso di questa frase. Ho passato settimane di lacrime e domande, senza avere la risposta che cercavo. E quando poi, lentamente, sono ritornata alla vita normale, inaspettatamente l'ho trovata.

Nel corso dei mesi passati, ho avuto l'occasione - grazie perlopiù ad Internet - di conoscere molti genitori che sono passati attraverso esperienze simili. E già questo, trovo sia un piccolo miracolo sbocciato come un fiorellino silenzioso lì dove prima non c'era che dolore; perchè proprio internet, così demonizzato, e proprio facebook, straripante talvolta di tanta superficialità, sono diventati il mezzo - o più propriamente, il luogo - attraverso cui mettere in contatto tante anime fisicamente lontane, ma spiritualmente vicinissime.
Ho conosciuto persone splendide, persone alle quali il dolore anzichè togliere qualcosa ha dato un dono, quello di vedere la vita con occhi nuovi, di ascoltare con il cuore, di trovare la gioia nelle piccole cose, trovando la vera essenza di ciò che ci circonda.
Al di là di ciò che può apparire retorico a chi è ben lontano da un'esperienza simile - la sofferenza che fortifica, le esperienze dolorose che in fondo sono riservate alle anime speciali, e tutto ciò che nel tentativo di confortarmi mi sono ripetuta in quelle interminabili settimane - la mia risposta l'ho trovata.
L'esperienza non è stata vana, perchè è servita a dimostrarci che non siamo ancora falliti, come esseri umani, fintanto che siamo capaci di condividere le sofferenze di un altro, sentirle come fossero nostre e provare il desiderio di alleviarle anche se l'altro è uno sconosciuto.
Non è forse un dono prezioso, aprire gli occhi e accorgersi che c'è ancora speranza, per il mondo, perchè siamo ancora capaci di commuoverci e sentire che i figli degli altri sono un po' anche i nostri?
Ecco, nel mio piccolo, ciò che leggo negli occhi di mio figlio, quando sorride. La speranza, l'ottimismo, il rosa brillante del futuro.

martedì 2 marzo 2010

alloggi

In quei terribili momenti, la cosa più difficile è recuperare la lucidità sufficiente per affrontare i problemi pratici. Siamo travolti da un'ondata di emozioni che rende difficile anche solo per un istante decidere cosa fare; ricordo la me stessa di allora come una foglia sballottata dal vento. Dimessa dall'ospedale senza aver avuto neanche il tempo di rendersi conto di aver partorito, mi trovavo a dover decidere come gestire le settimane seguenti.
Ho pensato di raccogliere qui alcune informazioni - o meglio, i link tramite i quali reperirle - sulle opportunità di alloggio per i genitori presso l'Ospedale Bambino Gesù di Roma.

alloggi per le madri nutrici:
http://www.ospedalebambinogesu.it/Portale2008/Default.aspx?IdItem=719 per le mamme che allattano, l'ospedale mette a disposizione alcuni alloggi all'interno del Padiglione Pio XII

ecco anche il link dell' UNITALSI:
http://www.ospedalebambinogesu.it/Portale2008/Default.aspx?IDitem=2499 che mette a disposizione alcuni alloggi per le famiglie dei bambini ricoverati.

se non dovesse esserci disponibilità presso queste due strutture, rivolgendosi al "Negozietto" gestito dalle volontarie dell'ospedale, è possibile avere i riferimenti di altre strutture che possono ospitare i genitori. Questo il link dell'Associazione Volontari, con i recapiti telefonici e e-mail:

http://www.ospedalebambinogesu.it/Portale2008/Default.aspx?IDitem=1731

Credo che loro abbiano anche una lista di strutture -religiose e non - nei dintorni dell'ospedale; a suo tempo a me la diede una nostra amica che se non erro - purtroppo in quei momenti ero talmente confusa che ricordo poco o niente di quello che succedeva al di fuori delle mura dell'ospedale - la prese lì.
In ogni caso anche le strutture a pagamento praticano un prezzo più basso per i genitori dei piccoli pazienti.

giovedì 18 febbraio 2010

... l'angoscia ....

Stringi il tuo bambino per pochi minuti, ancora incredula. Commossa, per la prima volta senti il tuo dito stretto da quella manina infinitesima; l'istante magico in cui è venuto al mondo si è congelato nella tua memoria come un piccolo miracolo. Un secondo prima sei tu, un secondo dopo siete due persone.
Stai ancora assaporando quei ricordi, in attesa che finalmente arrivi l'ora della poppata - quanto hai sognato, quel momento, quando venivi in ospedale per i monitoraggi e sbirciavi le capoccette scure nelle cullette trasportate dalle ostetriche! Sei stanca e felice come mai nella vita.
Ed è allora che accade. La vita cambia con una rapidità che non ti aspetti. Entra una pediatra dolcissima, che ti parla con il cuore in mano spiegandoti perchè il tuo bambino non è lì con te.
"E' in patologia neonatale" dice "Per accertamenti".
Nel tuo cuore di neo-mamma, la gioia è talmente grande che non pensi nemmeno possa esistere qualcosa di tanto grave. "febbre" e "difficoltà respiratorie" dice la pediatra, e nel tuo cuore tu pensi "Ma sì, andrà tutto bene, è meglio che si accertino, non vedo l'ora di tenerlo tra le braccia, questa sera."
Quando la pediatra torna, nell'orario di visita, e con espressione seria chiede cortesemente a tutti i parenti di uscire, per la prima volta il cuore si blocca.
Da lì in poi, non ho che ricordi confusi, come se tutto fosse accaduto sotto una qualche anestesia. Non ho pianto che diverse ore dopo, quando l'ambulanza-cicogna se l'era portato via e avevo avuto solo un istante per vederlo passare, bellissimo e ignaro nella sua incubatrice.
Una notte lunghissima, perchè il ginecologo avrebbe firmato per la mia dimissione solo l'indomani mattina. Una notte di pianti; la mia prima poppata fatta con un tiralatte, perchè l'unica cosa che potevo fare era cercare con tutte le mie forze di mantenerlo. Pensieri terribili che si susseguono nella mia mente; la più brutta delle sensazioni, l'invidia, che serpeggia sinuosa avviluppandomi il petto nel pensiero che, nelle altre stanze, alle altre mamme era andato tutto per il meglio e si godevano tranquille i loro bambini, senza rendersi conto della benedizione che avevano ricevuto. E, subito dopo, il senso di colpa per queste riflessioni così misere.
La pancia che pare stretta da un nodo, mentre pensi che tu non sei lì accanto a lui, che non puoi parlare con i medici, non sai cosa sta succedendo; guardi l'orologio dicendoti "ecco.. tra poco farà il primo intervento".. e da allora i minuti scorrono troppo lenti, la cena si fredda sul vassoio in attesa della telefonata che dice "per ora è andato tutto bene, tra qualche settimana l'intervento correttivo vero e proprio".
Pensi che non ricordi quasi nemmeno i suoi lineamenti, tanto poco l'hai visto: qualche istante avvolto nella coperta come in un bozzolo, col cappellino celeste - che ti ricorda la spensieratezza di quando lui era al sicuro dentro la pancia, e credevi che lo avresti protetto da tutto - calcato poco sopra gli occhi; e poi di sfuggita, addormentato placidamente nell'incubatrice, lui e il suo pannolino, senza quelle tutine tanto amorosamente scelte e messe in valigia per i suoi primi giorni.
Pensi alla sua cameretta vuota, lì a casa, pronta ad accoglierlo, al nastro azzurro, ai bavaglini a punto croce; e quando per la prima volta nella tua mente si fa strada il pensiero che possano non servirti mai, infine crolli.
E' in quelle ore che capisci veramente il significato della parola "angoscia", quando a stento respiri e piangi talmente tanto da non avere più lacrime. Quando il tempo non passa e le parole di chi ti sta intorno sono l'una il vuoto eco dell'altra.
Ci si aggrappa a ciò che si ha, in quei momenti; a quello che hai studiato, perchè purtroppo o per fortuna la tua formazione universitaria ti ha fornito quel tanto di basi di anatomia e fisiologia da capire perfettamente ciò che sta succedendo, ma anche alla fede.
Una delle frasi più belle, che in quei momenti mi ripetevo spesso, me la scrisse in un messaggio una mia amica: "Cerca di ricordare che noi crediamo nella scienza, nella medicina e forse anche in qualcosa di più". Non è molto, in quei frangenti, ma era tutto ciò che avevo.

Bomboniere.... di cuore

Sono sempre stata una sostenitrice delle cosiddette "bomboniere solidali"; un'ottima occasione per compiere un bel gesto eliminando al contempo il rischio di invadere le case di parenti e amici con gingilletti il più delle volte di scarsa utilità e - per chi li riceve - di gusto discutibile. A suo tempo, scelsi Medici Senza Frontiere per le mie; e devo dire che tutti hanno apprezzato e condiviso questa scelta.
E' con grande piacere quindi che voglio postare qui il link della splendida iniziativa dell'Ospedale Pediatrico Bambin Gesù (al quale devo la vita del mio tesoro più prezioso):

http://www.ospedalebambinogesu.it/Portale2008/Default.aspx?IdItem=3534


Con un contributo libero, infatti, è possibile fare veramente una scelta "di cuore" e dedicare nei nostri momenti speciali - lauree, battesimi, matrimoni - un pensiero a quei bambini che il destino rinchiude tra le quattro mura di un ospedale.
Il link vi fornisce i contatti ai quali rivolgersi per maggiori informazioni.
E, per gli sposi, una seconda opportunità, la "Lista di nozze solidale": la possibilità di indirizzare i propri ospiti verso una donazione all'Ospedale Pediatrico.

Davvero una bellissima iniziativa che mi lascia solo un po' di amarezza perchè ne ero completamente all'oscuro quando ho battezzato il mio piccolo eroe...

lunedì 15 febbraio 2010

AICCA onlus - Associazione Italiana Cardiopatici Congeniti adulti

Dover fronteggiare una realtà come quella delle cardiopatie congenite con un bimbo piccolo in ospedale e pochi ritagli di tempo durante i quali cercare in ogni modo di capire che cosa ci sta capitando, mentre google ci vomita addosso un groviglio di link dei quali è difficile talvolta venire a capo... difficile non farsi prendere dallo sgomento. Internet si manifesta all'improvviso in tutta la sua vastità, come un oceano troppo grande nel quale sguazziamo senza meta.

Per questo sto cercando di raccogliere, nell'elenco qui a destra, una serie di siti con informazioni utili, aggiornandolo man mano; e per questo voglio evidenziare in modo particolare il quello dell'AICCA onlus (Associazione Italiana Cardiopatici Congeniti Adulti):

http://www.aicca.it/

Oltre ad una nutrita sezione Medico-divulgativa (nella quale, accanto alle schede sulle singole cardiopatie, trovano posto anche una serie di consigli pratici), sul sito potete trovare una parte dedicata agli aspetti psicologici, e non solo. AICCA infatti mette a disposizione anche un legale che possa aiutare gli associati a chiarire quelli che sono i loro diritti (tutte le informazioni nella sezione "Il legale" del sito).

E, ultimo ma non meno importante, segnalo la sezione "Le nostre storie", dove si intrecciano le avventure di tanti piccoli cuori, di quelli che hanno vinto e di quelli che non ce l'hanno fatta, e le emozioni bucano lo schermo con prepotenza. La corsa disperata di un neo-papà dietro l'ambulanza che, a sirene spiegate, porta il suo bambino in un centro specializzato. L'ansia di una mamma che partorisce a migliaia di chilometri da casa sua, perchè lì, forse, il cuoricino malandato della sua bambina potrà avere una speranza. Voci di bimbi ormai cresciuti, che scaldano l'anima di chi, come me, talvolta si chiede come sarà il futuro del suo piccolo eroe.

giovedì 11 febbraio 2010

Quello che ho imparato...

... ho imparato che essere genitore non vuol dire necessariamente proteggere il proprio bambino dal dolore, ma anche, talvolta, guardarlo lottare e vincere da solo.

... ho imparato che esiste un mondo fatto di angeli silenziosi che, con la semplicità di chi sta facendo "soltanto il proprio lavoro", compiono ogni giorno piccoli miracoli.

... ho imparato che c'è ancora speranza, nel mondo, perchè siamo ancora capaci di provare dolore e piangere insieme ad uno sconosciuto.

... ho imparato che ci sono persone che hanno avuto il cuore spezzato, lacerato, sbriciolato da un destino che pare esservisi accanito contro come una tempesta. Ma ho imparato che questi cuori lacerati sanno risorgere senza indurirsi.

.. ho imparato a non disperare mai.

... ho imparato che siamo come le ostriche, e reagendo a ciò che più di ferisce nell'animo costruendogli attorno la più bella delle perle.

... ho imparato che nella vita non c'è nulla di banale, o di scontato.

... ho imparato il valore del tempo, perchè undici ore possono essere infinite quando le trascorri inchiodata su un divanetto ad attendere un messaggio dalla sala operatoria che pare non arrivare mai.

... ho imparato che i bambini sorridono anche in ospedale, e che sono più forti di qualsiasi dolore.

Giornata mondiale di sensibilizzazione sulle cardiopatie congenite

Il 14 Febbraio - il giorno di San Valentino, quanto tutti noi volenti o nolenti ci riempiamo la bocca della parola "cuore" - si celebra la Giornata Mondiale di Sensibilizzazione sulle Cardiopatie congenite.

Nata dalla volontà della mamma di un piccolo paziente nel 1999, da oltre dieci anni questa giornata viene promossa in tutto il mondo allo scopo di sensibilizzare ed informare l'opinione pubblica su queste patologie silenziose ma più diffuse di quanto si pensi ( e chiunque, come me, sia passato in un ospedale pediatrico e abbia visto susseguirsi in sala operatoria tanti, troppi piccoli pazienti, ha toccato con mano quello che le statsistiche dicono).


Help Spread Congenital  Heart Defects Awareness


Segnalo di seguito una serie di link utili su questa importante iniziativa; tanto per cominciare, il link (in inglese) ufficiale della giornata mondiale "A Day for Hearts".

http://www.chdinfo.com/chdaware/chdspecial.htm

E' un sito molto ricco, con informazioni sulle singole patologie, sugli interventi correttivi, sulle possibili cause o concause che possono generare l'insorgenza di tali patologie; e ancora, la possibilità di inviare una cartolina virtuale ai propri amici - o aggiungere un banner o un bottone al proprio sito - per contribuire alla campagna di sensibilizzazione.

In Italia, vi segnalo il sito dell'associazione Piccoli Grandi Cuori Onlus

http://www.piccoligrandicuori.it/index.php?popup=no

che aderisce e diffonde l'iniziativa con un calendario di incontri (scaricabile sul sito) in associazione con l'Unità Operativa di Cardiologia-Cardiochirurgia Pediatrica e dell'Età Evolutiva del Policlinico Sant'Orsola Malpighi di Bologna. Anche sul sito di quest'ultimo:

http://www.aosp.bo.it/content/gioved-14-febbraio-la-giornata-mondiale-di-sensibilizzazione-sulle-cardiopatie-congenite


E' possibile trovare informazioni sulla Giornata.



sabato 6 febbraio 2010

.. la rabbia ..

Quello che resta, a distanza di mesi, è una gran rabbia. Perchè chiunque passi anche solo poche settimane dentro un ospedale pediatrico, una volta uscito non può vedere il mondo che con occhi diversi. Ed ecco, dentro, questo senso di fastidio verso tanta superficialità, verso chi ha la fortuna che tutto vada per i meglio e anzichè rendersi conto della benedizione che ha avuto, sa solo lamentarsi.
L'immagine di tuo figlio di due settimane sedato, intubato, dopo un intervento di 11 ore a sterno aperto è qualcosa che ti resta impressa a fuoco nella mente; e tu vorresti strapparla da lì dove si è prepotentemente radicata, strappartela via e schiaffarla davanti agli occhi di chi vive bovinamente la sua vita galleggiando piacevolmente nel vuoto ovattato della sua superficialità. Davanti a chi pur aspettando un bambino ed avendo la fortuna - immensa - di una gravidanza perfetta, non rinuncia a una sigaretta "perchè tanto, che può succedere.." . Davanti a chi si lamenta perchè il bimbo appena nato piange, e lei pur avendo in casa la mamma ventiquattro ore su ventiquattro "è stanca" ( e ti tornano in mente le lunghe ore di attesa, sulle panche scomode, con i punti che tirano e senza potersi nemmeno lavare come si deve, in attesa di poter entrare per tenere in braccio tuo figlio). Davanti a chi pensa che possa essere una tragedia il pensiero di dover evitare la tinta per nove mesi. Davanti alle mamme che con aria annoiata si trascinano dietro i loro figli come fossero una palla al piede.
Non che ignorassi che siamo in un mondo nel quale la superficialità regna sovrana, anzi; ma dopo aver toccato con mano l'altra faccia della vita, quella in cui ci si rende conto veramente del significato di questa semplice parolina di quattro lettere, la superficialità che prima tolleravo diventa incredibilmente irritante. Ci sono donne che passano attraverso la gravidanza e la nascita dei propri figli come fosse una "tappa obbligata", perchè d'altronde "ho trenta e rotti anni, se non lo faccio ora quando lo faccio", e non si rendono nemmeno conto dello straordinario miracolo che stanno vivendo. Ci sono donne che affrontano l'idea di avere un bambino con lo stesso infantile entusiasmo con il quale affronterebbero la scelta di un cagnolino in un negozio di animali, impazienti di avere il cuccioletto da addobbare con cappottini e cuffiette magari in abbinato col vestito della mamma, salvo poi stupefatte constatare che il cucciolotto in questione dopo pochi mesi è un essere umano in miniatura che reclama attenzione e manifesta egocentricamente una propria personalità. Ci sono tante, troppe mamme in giro che dimenticano di sorridere, e limitano il proprio ruolo ad un lagnoso e periodico richiamo verso i figli che giocano al parco.
Quando veramente nella tua mente prende forma il pensiero "non ha che poche settimane di vita, e potrebbero essere le ultime", la tua vita cambia. Ogni più piccola banalità da quel momento diventa speciale; e si vorrebbe aprire gli occhi a quella fetta di mondo che ancora crede che si possa essere veramente felici solo quando si può svolazzare di negozio in negozio caricandosi di buste come Julia Roberts in Pretty Woman....

venerdì 5 febbraio 2010

Cuore

Tre miliardi di battiti nel corso di una vita umana. Tre miliardi di battiti dei quali noi nemmeno ci accorgiamo, fatta eccezione per quelli che ritmano le nostre emozioni. E' solo allora, quando ci innamoriamo, quando ci spaventiamo, quando siamo in ansia, per non parlare di quando ci sembra che si spezzi che ci rendiamo conto di quel piccolo, ostinato motore, grosso quanto un pugno.




Cominciamo da qui. Un video molto semplice, tratto da "La macchina meravigliosa", splendida trasmissione di Piero Angela datata ormai una ventina di anni fa, che illustra, in poco meno di 8 minuti, tutto ciò che si nasconde dietro la straordinaria macchina del cuore. Comincio da qui perchè, non essendo un medico non posso far altro che raccogliere e riportare in questo spazio le informazioni fornite da chi ne ha invece le competenze; comincio da qui perchè trovo che Piero Angela sia uno straordinario divulgatore in grado di condensare in pochi minuti la straordinaria storia del nostro motore.

Ma comincio da qui anche e soprattutto perchè all'inizio di questo video una semplice animazione racchiude in sè la chiave di tutto: il momento in cui, tra la terza e la quarta settimana, mentre io, lì fuori, ero ancora ignara del piccolo miracolo che andava germogliando dentro di me, il primo abbozzo del cuore si forma e comincia a pulsare, e poi cresce, si modifica e si trasforma. E' proprio lì, in qualche oscuro passaggio di questa semplicissima animazione, che talvolta qualcosa va storto e trasforma un neonato in un "lottatore".
Chi ci è passato, sa che la sottile cicatrice sul petto dei nostri bimbi corrisponde a una ben più spessa nelle menti di noi genitori.
Questo non ha la pretesa di essere un blog di medicina, nè niente di simile; semplicemente, vuol essere un canale attraverso cui lasciar fluire le emozioni che, nei mesi trascorsi, si sono accumulate. E perchè no, un mezzo per condividerle con chi si trova suo malgrado catapultato nella nostra stessa avventura.
E allora, per cominciare, ho scelto Piero Angela. Perchè mi ha accompagnato nel corso della mia infanzia, stimolando e soddisfando le mie piccole grandi curiosità; e se avessi potuto scegliere, quel giorno - che ormai, grazie a Dio, si allontana sempre più - in cui una dolcissima pediatra mi parlava per la prima volta di "Trasposizione dei Grossi Vasi", avrei voluto che fosse lui a prendermi per mano e condurmi attraverso i meandri bui di quei piccoli vasi per capire cosa era potuto andare storto, e perchè.