lunedì 31 gennaio 2011

ANCORA SULL'ALLATTAMENTO

In un post precedente parlavo della possibilità di riuscire ad allattare normalmente i propri bimbi anche dopo un'esperienza devastante come quella di un mese di degenza in un ospedale pediatrico.
Rileggendolo adesso, mi rendo conto che mi sono - come forse è naturale- soffermata più che altro sull'aspetto "emotivo", probabilmente perchè da donna vedo nell'allattamento molto di più che una semplice e "istintiva" via di alimentazione per un cucciolo.

Ho pensato perciò di riprendere il tema dell'allattamento e di trattarlo da un punto di vista più pratico, ed anche forse più utile ad una mamma che sta incominciando ad organizzare il dopo-parto in vista di un intervento cardiaco per correggere la malformazione del proprio bimbo.
Tanto per cominciare, sottolineo di nuovo quello che scrivevo in chiusura del post: all'ospedale Bambino Gesù di Roma è presente una Consulente dell'Allattamento a disposizione delle mamme di prematuri o di bimbi ricoverati in patologia neonatale, per consigli e informazioni. A noi diedero anche un depliant informativo al momento del ricovero, dal momento che lì all'OPBG l'allattamento materno dei piccoli pazienti è fortemente promosso e sostenuto. Non a caso, all'interno della struttura sono presenti un certo numero di Alloggi per le Mamme Nutrici, destinati alle mamme che allattano e che si vedono costrette a trasferirsi a Roma per seguire il loro bimbo. In questa pagina del sito, trovate le informazioni relative a questo tipo di servizio.

Il mio primo consiglio quindi è questo: nonostante al momento del ricovero la testa sia da tutt'altra parte, trovate il tempo e la lucidità per raccogliere anche questo tipo di informazioni. Come ho scritto nel vecchio post, avere qualcosa su cui concentrare la mente nei momenti di pausa tra un orario di visita e l'altro è fondamentale.

Per quanto riguarda il Bambin Gesù di Roma, le stanze disponibili per l'allattamento erano due: una al piano seminterrato, aperta durante la mattina, la seconda nel reparto TIN Immaturi, a disposizione durante tutto l'arco della giornata. In entrambi i casi, sono a disposizione più tiralatte (non ricordo il numero esatto, mi pare di ricordare quattro al reparto TIN) oltre a tutto il necessario per la pulizia e l'igienizzazione. La mamma non ha che da portare il proprio kit tiralatte in plastica (tubo, coppette ecc.) oltre ai biberon usa e getta, agganciare il tutto e ripulire la postazione una volta terminato. Per quanto riguarda i biberon, in Patologia Neonatale erano le infermiere stesse che li fornivano, bisognava solo ricordarsi di chiederne uno uscendo, quando eravamo in Cardiologia Degenza invece, dal momento che la fornitura di biberon del reparto era più limitata, bisognava riutilizzarli per più poppate; essendo di plastica, li mettevo a sterilizzare insieme alle coppette, al tubo ed al resto nello sterilizzatore chimico.
In ogni caso, rivolgetevi direttamente alle infermiere del reparto e chiedete loro come funziona per quanto riguarda i biberon; ricordo per esempio che alcune mamme della TIN utilizzavano i loro contenitori di vetro della Avent.
Una volta tirato il latte, trasferito nel biberon ed etichettato con i dati del bambino e del reparto, si consegna alle infermiere al momento dell'ingresso in reparto e provvedono loro a riconsegnarlo alla mamma al momento della poppata - o a somministrarlo direttamente al bambino durante la poppata notturna.
Ricordo che, mentre eravamo ricoverati in Patologia Neonatale in attesa dell'intervento c'era qualche mamma che allattava il bimbo direttamente al seno, al momento della poppata; credo dipendesse dal fatto che, nel nostro caso specifico, nostro figlio doveva prendere peso in vista dell'intervento e le infermiere dovevano essere in grado di misurare facilmente e precisamente quanto mangiava. In ogni caso, dato che per alcune mamme la possibilità di allattare al seno esiste anche in quei frangenti, mi raccomando, CHIEDETE SENZA TIMORE al personale del reparto!
Perfino in Terapia Intensiva è possibile portare il latte, lo tengono da parte in frigorifero e appena il bambino può ricominciare ad alimentarsi glielo danno. Inutile dire che in una fase tanto delicata il latte materno diventa fondamentale per accelerare il recupero.

Se posso, spenderei solo un'altra parola sulle stanze dedicate all'allattamento.... Il primo impatto per me è stato tutt'altro che roseo.. per quanto tutti siano disponibili e gentilissimi, ti rendi conto che sei molto simile ad una mucca da latte attaccata alla mungitrice automatica.. specialmente quando erano presenti altre mamme nella stanza, l'immagine che mi veniva alla mente era quella.. Ma cercate di non farvi abbattere da tutto questo, è naturale che è tutto molto diverso dalla scena sognata per nove mesi, di noi mamme adagiate nella poltrona preferita, nostro figlio avvolto nella copertina scelta apposta per lui dalla nonna, una musica di sottofondo, al massimo il papà che osserva incantato.... Ma armatevi di tutta la pazienza che potete, e sforzatevi di pensare che quel piccolo gesto è tutto ciò che potete fare per aiutare il vostro bimbo.

Segnalo infine, per le fortunate (ahimè, non era il mio caso!) che di latte ne hanno in abbondanza, la splendida iniziativa del Bambino Gesù di Roma "Banca del Latte Umano", grazie al quale è possibile donare il proprio latte che verrà poi destinato - dopo opportuno trattamento - ai piccoli pazienti. Rimando al link per tutti i dettagli, non avendo personalmente avuto esperienza diretta di questa iniziativa; posto qui anche il link dell'AIBLUD (Associazione Italiana Banca del Latte Umano Donato), nel caso qualcuno fosse interessato a questo argomento.

Insomma, mai perdere la speranza, basta solo rivolgersi al personale dei reparti che sapranno informare e guidare adeguatamente le mamme.

venerdì 28 gennaio 2011

L'IMPORTANZA DI PAPA'

Che una cardiopatia congenita ti stravolge la vita, è più che evidente. Lo capisci nel momento stesso in cui le ostetriche portano i bimbi in camera delle mamme per la poppata, e tu resti sola.
Ma se vogliamo sforzarci di cercare un briciolo di positività in quelle prime, terribili ore, è proprio qui che l'ho trovata, nello straordinario rapporto "fisico" che si è subito instaurato tra il mio Cuoricino ed il suo straordinario papà.
In realtà il cuore di papà era stato rapito fin dalla prima ecografia, quando in una pancia ancora invisibile l'avevamo visto muovere. Più in là, trascorrevano meravigliosi momenti di intimità, le mani di papà poggiate sul pancione, la bocca incollata all'ombelico. Papà raccontava e il nostro ragnetto, lì dentro, faceva le capriole.
Avevamo letto libri e pagine web nelle quali tutti raccomandavano al papà di chiacchierare col proprio bambino, perchè lui, lì dentro, ascolta.

Beh, sapete una cosa? E' verissimo.
C'è una scena alla quale non ho assistito personalmente, ma che mi è stata raccontata con talmente tanta emozione che mi sembra di vederla.
Dopo ore di attesa fuori dalla porta del DEA (Dipartimento Emergenza Accettazione) al Bambin Gesù, finalmente l'infermiera consente ai genitori di entrare. Il papà entra, il cuore gli batte scorgendo in quella piccola culletta il suo bambino uscito dalla sala operatoria.
E' pieno di tubi, al polso ha ancora il braccialetto di plastica che gli hanno messo nell'ospedale in cui è nato, quando ancora tutto filava liscio come nella più rosea delle favole.
Il petto nudo, indossa solo il pannolino e dorme.
Lui gli si avvicina commosso, lo chiama per nome.
E sente il fiato mozzarglisi in gola quando il piccolo Cuoricino rattoppato, prontamente, apre gli occhi.
Ci sono foto scattate in quei primissimi giorni in cui c'è lui, il suo papà, in piedi accanto alla culletta, mentre gli stringe la manina accarezzandogliela, con un sorriso luminoso. E il piccoletto lì accanto, uno o due giorni di vita appena eppure già sopravvissuto a tutti gli effetti, che lo guarda.

Mi emoziono ogni volta che li guardo, anche oggi quando quella vocina chiama implorante "papàààààà" ogniqualvolta lui si allontana per andare in bagno interrompendo per un attimo i loro giochi.
E' vero, in quelle stesse ore in cui loro due erano per la prima volta soli, padre e figlio, io non ero certo in vacanza, ma inchiodata in un letto d'ospedale in attesa di essere dimessa, in preda ad un angoscia nera e annichilente. Ci dovrei essere io lì con lui, pensavo con rabbia, sentendomi inutilmente lontana dal mio bambino in un momento che avrebbe anche potuto essere il suo ultimo, se le cose avessero deciso di mettersi male.
Ma adesso, rivedendo a distanza di tempo quelle foto, trovo che tutto sommato sia stato proprio lì, nel buio impenetrabile di quell'angoscia, che una stella tanto grande ha potuto splendere.
Per tutta la gravidanza avevo preso in giro le ansie di mio marito, chiamandolo scherzosamente "papà di Nemo"; ed ecco che invece all'improvviso proprio come il Marlin del film anche lui si ritrova solo, mormorare al suo bambino "va tutto bene, c'è papà qui"



(immagine tratta da http://karenjlloyd.com/blog/2008/10/29/feature-favorites-finding-nemo/)

giovedì 27 gennaio 2011

QUANDO IL LIETO FINE NON C'E'



(immagine tratta da http://forum.donnamoderna.com)

In un anno e mezzo, ho conosciuto tante storie e tante mamme. Via facebook, tramite il blog e attraverso il forum in cui avevo postato la mia storia, diverse persone mi hanno scritto condividendo con me qualche settimana di angoscia.
In molti casi, tutto si è concluso con un "e vissero felici e contenti". E la gioia, inutile anche dirlo, per la proprietà transitiva si propagava da loro a me, irradiandomi di quella luce. Rivivevo con loro il momento più bello, quello in cui metti tuo figlio nella navetta e te lo porti via, senza che nessuno venga per riattaccargli un maledetto sensore. Nella hit-parade dei momenti più belli della mia vita, supera per intensità quello in cui, per la prima volta, ho posato gli occhi su di lui.
Ma la realtà è la realtà, le percentuali sono pur sempre percentuali e a volte non tutto finisce con un lieto fine. Capita a volte che apri quel messaggio con una sorta di soddisfazione preventiva, aspettando di leggere "è tutto bene, siamo tornati a casa", e leggi invece qualcosa che ti blocca il sangue nelle vene.
"Se n'è andato". "ha messo le ali ed è volata via". "non ce l'ha fatta".
La condivisione del dolore è forse il dono più grande che c'è stato dato, come specie umana. E forse, come scrivevo tempo fa, il senso di queste brevi vite è semplicemente quello di elevarci al di sopra delle meschinità quotidiane, ricordandoci che abbiamo un cuore in grado di spezzarsi per il dolore altrui.
Quando ti ritrovi a piangere davanti allo schermo di un pc per la storia di qualcuno che non conosci se non virtualmente, capisci che quel mese di ospedale la tua vita l'ha ormai cambiata irrimediabilmente.

Voglio per questo dedicare un pensiero a questi bimbi ed ai loro genitori, persone straordinarie che si tengono a galla in mezzo alla Tempesta Perfetta, al peggior incubo che possa turbare la mente di un genitore.
Quando aspetti fuori dalla sala operatoria per undici lunghe ore, hai il terrore che quella porta si apra troppo presto e che qualcuno con aria mesta esca a dirti che è stato fatto tutto il possibile. Durante la permanenza in Terapia Intensiva, vai a dormire con l'angoscia che il telefono squilli per dirti che c'è stata una complicazione.
Nel nostro caso, potevamo certo dirci fortunati; i numeri della TGA sono più che positivi, ci parlarono di un 95% di possibilità di riuscita. Vivevamo di numeri ormai da mesi, da quando, alla traslucenza nucale, ci parlarono di 1 probabilità su 8 per la sindrome di down (con grande soddisfazione, ho dovuto rifletterci parecchio ed anche ora non sono proprio certa che fosse 1:8 o 1:6, segno che anche l'angoscia più profonda il tempo la lenisce e la cancella!). Alla fine, a qualcosa bisogna pur aggrapparsi e ti aggrappi a quello, ti dici "mica sarò proprio io in quel 5%"?

I numeri sono terribilmente freddi. Cinque per cento significa cinque bambini che smettono di esistere da un giorno all'altro. Significa novantacinque camerette che tirano un sospiro di sollievo e accolgono infine il loro piccolo inquilino e cinque che restano tristemente, irrimediabilmente vuote. Significa dieci genitori che vedono spezzarsi per sempre il loro sogno. Perchè è vero, potranno esserci altri bimbi, ma saranno appunto ALTRI bambini. Potranno aiutare a restituire un po' di serenità, ma non potranno mai e poi mai colmare quel vuoto.
Significa che quei cinque bambini su cento svaniscono lasciando dietro di sè mille domande, chissà di che colore avrebbe avuto gli occhi, chissà come sarebbe stata la sua voce, chissà cosa gli sarebbe piaciuto mangiare a merenda.
E per te che hai temuto, in quei giorni, di essere uno di quei cinque su cento, conoscere anche solo virtualmente quelle storie ti spezza il cuore; in molti casi sono coppie che provavano da anni, che hanno alle spalle uno o più aborti, che pensavano di aver finalmente coronato il loro sogno più grande. E non puoi nemmeno abbracciarli, perchè anche l'abbraccio, come tutto il resto, può solo essere virtuale.

Il senso di questo post? Semplicemente quello di dedicare un pensiero, una preghiera, una riflessione a quei genitori ed ai loro bimbi. Perchè chi ha la fortuna di un lieto fine non può restare indifferente a coloro che, nella trappola delle percentuali, sono rimasti impigliati.

mercoledì 26 gennaio 2011

LA GIOIA DELL'ALLATTAMENTO, NONOSTANTE TUTTO

Mi rendo conto solo ora di non aver mai parlato - tutt'al più, forse, accennato - di una questione che è invece fondamentale per una mamma: la gioia di stringere al petto il proprio bambino, pelle contro pelle, ed allattarlo. Una delle emozioni più intense che la vita è in grado di regalarci.
E che purtroppo, per una mamma costretta ad affrontare la cardiopatia congenita del proprio bimbo, rischia di trasformarsi in un desiderio fragile come una farfalla, sempre il bilico tra il realizzarsi e lo svanire nel nulla.
Comincio questo post dalla conclusione, dicendo molto semplicemente a tutte le mamme che si trovano a vivere qualcosa di simile di non mollare. Siate ostinate, siate testarde, andate contro la vostra stessa mente che, sopraffatta da mille angosce e pensieri, vorrebbe tanto lasciarsi andare.
La gioia di attaccare il vostro bimbo al seno è proprio lì dietro l'angolo, ed è possibile.

Nel mio caso, avevo avuto la possibilità di attaccare mio figlio al seno per una manciata di minuti, appena nato, erano le sei di mattina ed eravamo tutti sfiniti, ancora ignari di ciò che ci avrebbe aspettato di lì a poche ore, perciò l'ostetrica prese quel fagottino insonnolito e lo portò al nido, mandandomi a riposare per qualche ora in attesa di averlo finalmente nella culletta in stanza, accanto a me. Poi la vita, con un colpo di coda, ha cambiato bruscamente direzione, e anzichè stingere al petto un neonato profumato di talco mi sono ritrovata a trascorrere una notte terribilmente solitaria, torcendo con angoscia le lenzuola e rischiando di soffocare nelle mie stesse lacrime. E' stato allora che, al di là delle parole di conforto, degli abbracci, dei timidi tentativi di consolarmi, due ostetriche mi hanno portato in camera un tiralatte e con grande pazienza, riuscendo ad attirare finalmente la mia attenzione distogliendola dal pensiero che in quello stesso momento mio figlio era in una sala operatoria tanto, troppo lontana, mi hanno insegnato ad utilizzarlo.
"Non sottovalutare l'importanza di tirarti il latte" mi dicevano "Puoi fare moltissimo per aiutare tuo figlio, malgrado tu ti senta impotente. Avrà bisogno della sua mamma per rimettersi in forze dopo l'intervento, e puoi farlo solamente in un modo: con il tuo latte."
Perciò, ingoiando le lacrime, ho concentrato tutti i miei pensieri sparsi su quell'unico obiettivo e ho incominciato ad utilizzare quel tiralatte. Per un mese, in qualsiasi momento libero, la sera, la mattina prima di entrare in ospedale, nelle pause tra un orario di visita e l'altro, mi attaccavo a quella macchinetta, dapprima con tutta la mia buona volontà, poi sempre più sconfortata, quando mi rendevo conto che dopo un ora di "tiraggio" riuscivo si e no a riempire un trenta, al massimo cinquanta, grammi di latte, mentre le altre mamme portavano alle infermiere dei bei biberon colmi fino all'orlo.
Mi sentivo svuotata, inutile, incapace perfino di fare la sola cosa che era in mio potere per dare una mano al mio bambino. Difficile riportare su carta - o su video - le emozioni che mi attraversavano in quei momenti, i momenti di frustrazione in cui mi abbandonavo alla disperazione racimolando da chi mi stava intorno vaghi tentativi di rassicurazione che ancor più giravano il coltello nella piaga:
"Su, dopotutto non è la fine del mondo, anche tu sei cresciuta con il latte artificiale."
E invece, per me, ERA la fine del mondo. Sarà stata un po' di depressione post-partum, come mi diceva qualcuno, sarà stata la stanchezza, lo stress, i pasti incostanti e perlopiù a base di panini trangugiati di malavoglia, o forse un insieme di tutte queste cose; fatto sta che mi trovavo sempre più spesso attaccata ad un tiralatte che non voleva saperne di tirare, in preda allo sconforto.
Mi sentivo terribilmente sola, ed inutile. Non so dove e come abbia trovato la forza per insistere, probabilmente quel senso del "dovere" un po' retrò inculcatomi dai miei fin da quando ero piccola.
E quando proprio pensavo di nnon farcela più, le dimissioni, la mia adorata casetta, il divano accanto al lettino dove quasi miracolosamente ho potuto provare la sensazione meravigliosa del proprio bambino che si attacca al seno, la più primordiale delle emozioni, quella grazie alla quale capisci finalmente perchè le gatte socchiudono gli occhi e fanno le fusa, quando allattano i loro piccoli.
Va detto che il latte non era certo aumentato; su consiglio del pediatra, dopo avergli dato il biberon lo provavo ad attaccare, perchè, mi diceva, per un bambino attaccarsi al seno della mamma non è solamente una mera questione "alimentare", ma è una necessità più profonda, intima, un desiderio di protezione e sicurezza.
Miracolosamente ha funzionato, per quattro splendidi mesi. E' vero, non era merito mio la crescita straordinaria di un bimbo che, a detta di chiunque, tutto pareva tranne che una persona uscita poche settimane prima dalla Terapia Intensiva Cardiochirurgica, eppure mi è sembrato un dono meraviglioso.

C'è un verso tratto da "If" di Rudyard Kipling che, a mio parere, condensa perfettamente ciò che ho appena scritto:

If you can force your heart and nerve and sinew
To serve your turn long after they are gone,
And so hold on when there is nothing in you
Except the Will which says to them: "Hold on"

(Se sai costringere il tuo cuore, i nervi e i tendini
A seguire il tuo obiettivo anche quando ti hanno da tempo abbandonato
e così resistere, anche quando in te non c'è più niente
eccetto la volontà che dice loro "Resistete"..)

Siate testarde, dunque. Siate ostinate anche contro tutte le evidenze, anche davanti a quei trenta miseri grammi di latte. Non sottovalutate l'importanza di avere qualcosa cu cui concentrare la mente, il cuore e i tendini, per sentirvi vive. In ospedale, informatevi se esiste una Consulente per l'attallamento (al Bambin Gesù di Roma ad esempio c'è, a disposizione di tutte le mamme di bimbi in Patologia Intensiva ), rivolgetevi a lei e fatevi guidare. Qui un utile link proprio dell'OPBG, nel quale si parla proprio di questa figura.

Non mollate. La possibilità di non perdere completamente i piccoli sprazzi di "normalità" dei primissimi mesi di vita c'è ancora, proprio dietro l'angolo.


(Madonna Litta, Leonardo da Vinci - immagine tratta da www.artfold.org)

martedì 25 gennaio 2011

TREMILACINQUECENTO

Non so se sentirmi consolata o meno da certi numeri: il fatto che ogni anno, in Italia, ben 3.500 bambini subiscano un intervento cardiochirurgico entro il primo anno di vita certo aiuta a scacciare via l'idea di una sorta di "nuvoletta di Fantozzi" che abbia voluto colpire solo me, e proprio me, tra tante pancione in attesa. D'altro canto a pensarci dà i brividi. Vi rendete conto di quanti sono, tremilacinquecento bambini? Provate a immaginare tutte quelle cullette, quei tremilacinquecento braccialetti di plastica col nome della mamma scritto col pennarello, tremilacinquecento pannolini taglia "micro", tremilacinquecento camerette - rosa o celesti - che resteranno vuote, tristemente vuote, in attesa del ritorno del loro piccolo eroico inquilino.
Il dato l'ho pescato da questo articolo molto interessante, nel quale si illustra quanto emerso in occasione del XXV congresso nazionale di Chirurgia Cardiaca, tenutosi a Roma nello scorso novembre.
Le malformazioni più comuni - dati alla mano - risultano essere difetti del setto interatriale/interventricolare, tetralogia di Fallot e coartazione aortica, accanto alla Trasposizione delle Grandi Arterie (o TGA, come abbiamo ormai imparato "amichevolmente" a chiamarla). E in effetti, in quella settimana in cui il nostro Cuoricino veniva tagliato e riassemblato, c'era una coppia di genitori ogni giorno che attendeva fuori dalla sala operatoria, e che rincontravamo poi nel silenzio della Terapia Intensiva, davanti alla loro culletta. Tanti bimbi tutti identici, intubati, nudi, il petto che si solleva e si abbassa ritmicamente sotto al cerotto, là dove lo sterno rimane aperto per 48 ore, in osservazione.
Per questo, si legge nell'articolo, sono state prese in esame le 8 maggiori strutture italiane operanti nel campo della cardiochirurgia, che sono uscite - manco a dirlo - più che vittoriose dall'analisi degli esperti; tutti noi genitori transitati lì dentro sappiamo bene che si tratta di ospedali all'avanguardia a livello mondiale.
Per questo "rimbalzo" volentieri questo articolo sul mio blog, ben consapevole che si tratta di una notizia dello scorso novembre e perciò un tantino "datata".. ma quando abbiamo qualcosa per cui andare a testa alta, in Italia, perchè allora non ripeterlo ancora e ancora, con tutta la voce che abbiamo?

(fonte:http://www.salus.it/cardiologia-c24/cardiopatie-congenite--in-italia-ogni-anno-3-500-bambini-subiscono-un-intervento-chirurgico-nel-primo-anno-di-vita-2272.html)

CARDIOLOGIA PEDIATRICA IN ITALIA : le opinioni di chi c'è stato

Non che ami personalmente la parola "classifica" associata ad un ospedale. Ciononostante, ritengo utile segnalarvi questo link, nel quale sono state raccolte le opinioni e i "giudizi" dei pazienti sulle principali strutture specializzate in Cardiologia Pediatrica nel nostro paese.
Allo stesso modo, segnalo il link gemello relativo invece alle opinioni dei pazienti sui reparti di Cardiochirurgia Pediatrica in Italia.
Per finire, un terzo link tratto invece dal sito dell'Associazione Italiana Cardiopatici, nel quale vengono anche qui elencate le principali strutture ospedaliere operanti nel ramo della Cardiologia pediatrica, con tanto di link ai rispettivi siti.

venerdì 21 gennaio 2011

IL GUESTBOOK DEL CUORE


lasciate pure qui i vostri commenti, le vostre storie, i vostri suggerimenti.
un grazie (naturalmente, di cuore) a tutti coloro che vorranno lasciare un segno, alimentando questo blog.