mercoledì 22 dicembre 2010

NEMMENO UN FIOCCO

Oggi mentre me ne stavo diligentemente in fila nel traffico, sotto una pioggerellina sottilissima, per caso sono passata di fronte ad un cancello decorato con un vistoso fiocco azzurro. Anzi, dire fiocco è dire poco: un grosso disco di nastro celeste intrecciato, a formare un "coccardone" grosso quanto un piatto da pizza. Ho sorriso, pensando a quanto grande sia la gioia di chi, dopo nove mesi di attesa, vede compiersi davanti ai propri occhi un piccolo miracolo; tanto grande che, dovessimo rappresentarla con la grandezza di un fiocco, non basterebbe un diametro grosso quanto quello della luna, per esprimerlo.
E, tutt' a un tratto, mi è tornato in mente il mio rientro a casa, sfinita da un mese di attesa ininterrotta in ospedale, panini e cappuccini trangugiati di malavoglia, lacerata da tanta sofferenza, desiderosa di normalità. Mentre ero ancora un pancione ignaro di tutto ciò che di lì a poco avrei affrontato, avevo anche ricamato pazientemente il mio bel fiocco, con tanto di nome del bebè in bella vista, e lungo nastro azzurro che-immaginavo-avrebbe ondeggiato felice al vento primaverile, attaccato al portoncino del palazzo. Invece, rientrando finalmente a casa, tutto ciò mi è sembrato talmente vuoto, vano, privo di siginificato, che quel fiocco ho finito per non appenderlo mai, fuori dalla porta.
Non so perchè l'ho fatto; trovo che stia molto meglio appeso sopra alla testata del lettino. Probabilmente l'ho inconsciamente visto come un simbolo di quella "normalità" che temporaneamente mi ero vista strappare, probabilmente dopo un mese di attesa per poter finalmente stringere tra le braccia mio figlio - senza cavetti nè sensori - mi sembrava talmente straordinaria tanta ordinarietà che improvvisamente quel fiocchetto ricamato aveva perso senso, non potendo mai esprimere a pieno lo scoppio di gioia nel nostro petto alle parole "Oggi potete andare via".
O forse, ormai mi sentivo tanto irrimediabilmente strappata alla normalità che quasi con rabbia io stessa finivo per rifiutare tutto ciò che "normalmente" avrei voluto.
Non avevo pensato più alla storia del fiocco. L'avevo archiviata come uno dei tanti aneddoti che un giorno avrei raccontato ad un adolescente dagli occhi verdi:
"Sai... tu in realtà un fiocco non l'hai mai avuto.. Ti ho mai raccontato di quando siamo tornati a casa dall'ospedale?"
Poi, improvvisamente, proprio stamattina un fiocco emerso come un fantasma azzurro dalla pioggia me l'ha riportato alla mente....

martedì 14 dicembre 2010

NOI, E NEMO.

"Dov'è Nemo?"
(prende, orgoglioso, il suo pupazzo di peluche)
"E dove sta la pinnetta fortunata?"
(dopo una breve ricerca, sorridendo felice, stringe tra pollice e indice la pinnetta atrofica, rispondendo "CCA!!")

Una scena assolutamente banale, nella sua disarmante quotidianità. Cosa c'è di più comune di un bambino di diciotto mesi che comincia a districarsi tra le insidie del linguaggio?
Eppure quando lo guardo abbracciare il suo Nemo, il mio cuore - sempre questa parola, che ricorre in continuazione! - ha un sussulto. Forse per la prima volta ho percepito davvero a fondo il significato del film della Pixar, la potenza straordinaria di quel messaggio che dice a tutti noi, mamme e papà, di non lasciare che le nostre paure tarpino le ali dei nostri figli. Specialmente a quelli che, più degli altri, osservando pensosi le pinnette atrofiche dei loro pesciolini, temono che questo possa un giorno ostacolare la loro scoperta dell'Oceano.
E' talmente tanta la semplicità con cui, assolutamente ignaro di ciò che abbiamo vissuto, mio figlio affronta la vita come tutti gli altri, anche lui appollaiato sulla schiena di Maestro Manta, assieme agli altri. Ed è forse questa la cosa più surreale di tutto ciò che è stato... il fatto che, paradossalmente, lui - con la sua cicatrice biancastra lungo il petto - è un bambino assolutamente identico a tutti gli altri, mentre siamo noi, mamma e papà, ad essere stati talmente segnati da quanto è accaduto da essere "diversi", pur senza segni visibili.
L'ho scritto e riscritto.. ma a un anno e mezzo di distanza è decisamente questa la lezione più dura: convincerci che lui avrà una vita assolutamente normale, inspiegabilmente normale, per certi versi.. mentre saremo noi a sentirci ormai "fuori posto" di fronte alla normalità. Non può essere altrimenti, quando hai stretto la manina inerte di tuo figlio in un reparto di terapia intensiva neonatale.