giovedì 15 luglio 2010

FILOSOFIA DI UN UOMO SENZA GAMBA

In vacanza abbiamo conosciuto un uomo con una protesi ad una gamba, persa in seguito ad un incidente sul lavoro. Una persona assolutamente semplice, un meccanico, non uno di noi ex universitari, che ci siamo lentamente ammuffiti sui libri nel limbo della facoltà, in attesa di un lavoro che difficilmente ci avrebbe esposto al rischio di vederci una gamba tranciata.
Un omone di cento chilogrammi costretto su una sola gamba, come una gru. Un omone di cento chili che snocciola con semplicità, in riva ad un mare di cristallo, la sua sorprendente filosofia di vita.
E' sorprendente sentire qualcuno che, raccontandoti dei suoi sedici interventi, del dolore di scoprirsi privo di un arto, della paura della morte conclude poi dicendoti che in ospedale ne ha viste davvero di tutti i colori, " e io fortunatamente stavo bene".
Difficile anche solo lontanamente rendere per iscritto quello che si prova nel sentire tanta forza vitale espressa in poche, schiette frasi. Quando ha ascoltato la storia del nostro piccolo eroe, quest'omone grande e grosso - uno che s'è rimboccato le maniche e ha messo personalmente mano alla sua protesi, perchè i dottori saranno pure cervelloni, ma non pensano certo che un uomo amputato abbia bisogno di arrampicarsi sugli scogli per andare a pesca - si è sentito improvvisamente vicino a quel piccoletto solcato da una cicatrice lunga tutto il petto, come un pallone da rugby. Ogni giorno, in spiaggia, gli stingeva la manina tradendo una certa emozione, dicendo che quello era un ragazzo forte, che loro due si capivano, che erano due sopravvissuti. E, incredibile a dirsi, il nostro nanetto evidentemente sentiva che quell'omone enorme gli era vicino, perchè non perdeva occasione per andare a giocare vicino a lui, col suo camioncino, e salutandolo lanciandogli spontaneamente un bacino con la manina (cosa che, di solito, dobbiamo essere sempre noi genitori a sollecitargli, perfino con i nonni).
Ora, io credo fermamente in mio figlio e nella sua capacità di conoscere le persone; potrà sembrare un'ingenuità da parte mia, ma penso che lui, ancora così piccolo e non avviluppato nella rete del linguaggio, sia guidato dall'istinto. Come spiegare altrimenti, un bambino che spontaneamente sorride ad un uomo che tutto il resto della spiaggia (adulti compresi), ignora con un silenzio imbarazzato perchè incapaci di distogliere altrimenti lo sguardo dal suo moncherino?
Evidentemente quel suo cervellino sempre in fermento, sempre attento e curioso, deve aver percepito "qualcosa", in quella persona che lo guardava con gli occhi luccicanti, e che con una punta di commozione gli diceva "sei forte.. è forte, questo bambino, è forte..." guardandolo correre scalzo sulla sabbia.
L'ultimo giorno, per salutarci, l'uomo con una gamba sola ci ha regalato un cartoccio di uova fresche, direttamente dalle sue galline, per il nostro piccolo eroe, la semplicità e la spontaneità di questo regalo ci hanno spiazzato e commosso. E fatto riflettere su come, tutta questa esperienza, ci abbia cambiati, ci abbia resi forse più recettivi di fronte al dolore degli altri, ampliando il nostro orizzonte e aiutandoci a scoprire che al di là del dolore è possibile scoprire una vita felice, normale, forse anche migliore. Tutto sta ad attraversare l'inferno con coraggio, sbucando fuori dall'altra parte, bruciacchiati ma intatti.
La cosa più importante che ho imparato da quest'uomo è stato quello che da sempre pensavo, anche se con una punta di timore: che delle cose bisogna parlare, che non si deve aver paura a chiamarle col proprio nome, che nascondere qualcosa che è irrimediabilmente parte di noi vorrebbe soltanto dire emarginarsi. Spesso con mio marito parliamo di come gestire la storia dell'intervento; lui tende più al "parlarne il meno possibile", mentre a mio parere è solo parlando che una cosa tanto spaventosa possa diventare routine. Conoscere quest'uomo, in grado di passare un'ora ad illustrarti nel dettaglio la sua protesi, raccontandoti di come l'ha riadattata alle sue esigenze e di come adesso funzioni meglio, mi ha aiutato a capire che questa è la via più giusta; che se si ha una cicatrice lungo tutto il petto, inutile ammantarsi di mistero, costringendo gli altri a fissarti in un silenzio imbarazzato, pensando che tu possa essere a disagio, molto meglio dire semplicemente "mi sono operato", punto e basta. Se la vita ci ha lasciato addosso dei segni, faranno parte di noi per sempre, volenti o nolenti, come il colore degli occhi o dei capelli. So che un giorno mio figlio mi chiederà perchè lungo il suo petto c'è quel segno; ma adesso ho fiducia in me stessa, penso di aver individuato qual'è la strada da intraprendere.


E' in occasioni come queste, quando la vita con le sue giravolte ti mette sulla strada - apparentemente, per un capriccio del caso - persone che hanno qualcosa da insegnarti, che percepisco con forza che deve per forza esserci, dietro tutto questo, un disegno che noi non siamo in grado di vedere.