domenica 7 novembre 2010

FUORI TEMA, MA NEANCHE TANTO.. LA STRAORDINARIA STORIA DI TEMPLE GRANDIN

Conoscete Temple Grandin? Non è una cardiopatica nè la mamma di un piccolo cardiopatico, ma una persona la cui storia penso possa essere utile per tutti noi genitori, col terrore che i nostri bimbi possano non avere un futuro normale.
In effetti, Temple è tutt'altro che una persona "normale". Quale persona normale, inserendo il proprio nome su "Google", vedrebbe aprirsi la miriade di pagine web che compare quando digitiamo "Temple Grandin" nella barra di ricerca? Temple è una persona "diversa", diversa perchè ha saputo prendere in mano le redini di una vita resa difficile dalla malattia, trovarne una chiave di lettura e stravolgerla completamente, fino a trovare proprio nella sua più grande debolezza la sua forza.
Ma andiamo per ordine... Tutto inizia con una diagnosi implacabile: "autismo". Una diagnosi capace di dare un brivido al più razionale dei genitori, che richiama alla mente il commovente Raymond interpretato da Dustin Hoffman in "Rain man". E che, almeno in un primo momento, sembra destinare la sfortunata bambina ad una vita di incosciente isolamento, con la necessità di una continua e costante assistenza medica, in un appiattimento emotivo e sociale.
Ma Temple, che come tutti gli autistici rifiuta con violenza il contatto umano, scopre di provare una immensa serenità quando è tra gli animali. Nel ranch di famiglia, nell'assolata Arizona, Temple si rende conto che per lei è molto più facile comunicare con le mucche; ne percepisce le emozioni, le paure, le sensazioni; è stando in mezzo a loro che riesce a sentirsi serena ed a trovare la forza di reagire al male che la ingabbia.
E' da qui, dal suo piccolo rifugio odoroso di paglia e sterco, che parte la rinascita di una donna straordinaria, oggi 63enne professoressa associata di scienze animali all'università del Colorado, oltre che numero uno nella progettazione di impianti di allevamento impostati ad un più umano trattamento degli animali e personalità di spicco nell'ambito dei movimenti per i diritti delle persone autistiche.

Se volete conoscere la sua storia, vi segnalo l'interessante intervista di Blog.Panorama.it, oltre naturalmente al suo sito ufficiale dedicato all'Autismo. Ma consiglio caldamente a tutti coloro che, anche solo in un angolo della loro mente, continuano a nutrire dubbi che quella cicatrice sul petto possa comportare per i nostri bambini delle conseguenze spiacevoli, di conoscere qualcosa di più sulla vita di questa donna e sulla malattia che ha combattuto.
Sembra banale, ma "volere è potere". E Temple dimostra quanto non siano spesso le diagnosi a fare la differenza, ma come queste ultime vengono affrontate. Perfino una bestia nera come l'Autismo, quando affrontata di petto, può essere sconfitta.
Dobbiamo davvero ancora aver paura che per il solo fatto di non poter praticare uno sport a livello agonistico, i nostri figli possano avere una vita infelice?




(immagine tratta da Blog.Panorama.it)





venerdì 5 novembre 2010

QUANTO CONTANO LE PAROLE

Col passare del tempo, per quanto certi ricordi si affievoliscano, è impossibile cancellarli.
Quello che accade, però, è che col passare del tempo cambi la prospettiva dalla quale li guardi, focalizzando la tua attenzione su aspetti che sul momento non avevi la lucidità di considerare.
Per la prima volta, avendo il tempo cicatrizzato le ferite quel tanto che basta a guardarsi indietro senza sentire dolore, mi sono guardata dall'esterno, dal punto di vista di tutti coloro che, marginalmente, sono rimasti sfiorati da ciò che mi travolgeva.
In quei giorni, c'era una cosa che ti faceva stare a galla, ed erano le parole di chi ti stava accanto. Per quanto banali fossero, per quanto potessero forse sembrare scontate a chi le pronunciava, aiutavano a capire che la vita "normale" - fatta di amici, di pizzerie e di partite di pseudo-pallavolo sulla spiaggia - esisteva ancora, ed era lì, a portata di mano, appena dopo la curva.
Ripensandoci ora, mi rendo conto che per tutti coloro che ci erano accanto - familari, amici, conoscenti- probabilmente la cosa più difficile era parlare. Noi vivevamo ormai in una realtà parallela, in un terribile incubo nel quale una trasposizione dei grossi vasi è tutto sommato una fortuna, perchè avere una diagnosi e aspettare un intervento è già qualcosa, in un mondo in cui i bambini sono in coma, e muoiono. Ma chissà, magari qualcuno di loro, guardandoci dall'esterno, avrà avuto sfiducia, avrà pensato che avremmo dovuto prepararci al peggio, telefonava per chiedere "come va" col terrore che dall'altra parte una voce singhiozzante rispondesse "male", precipitandoci tutti in quel precipizio in cui non si sa cosa dire, e si arranca nel buio.
Ognuno di loro ha reagito in maniera diversa. Alcuni amici hanno pensato che la cosa migliore fosse venire a trovarci, quando possibile, e distrarci portando una ventata di normalità. Approfittare di una bella giornata di sole per portarci, nell'ora "d'aria", a fare una passeggiata.
Altri hanno chiamato una, dieci, cento volte, parlando della "cosa" senza timore, lasciandoci piangere, sfogare, lamentarci. In tutti e due i casi, la loro è stata una presenza preziosa.
Ci sono state poi tante rivelazioni, in positivo o in negativo. Ci sono stati "conoscenti" che, inaspettatamente, non hanno avuto paura del tuo dolore e ti hanno scritto una email piena di dolcezza, nonostante fino ad allora la vostra confidenza fosse stata tutto sommato superficiale. Ci sono state amicizie sottovalutate perchè frequentate poco, che nei weekend di sole hanno preferito essere lì, sul balconcino di Patologia Neonatale anzichè in un parco, sebbene negli anni precedenti non vi foste sentiti che tramite sporadici SMS a Natale e al compleanno.
E ci sono stati gli amici che ritenevi tali e che sono spariti nel nulla, in quelle lunghe settimane, salvo poi rifarsi vivi quando tutto è finito bene per dire "scusami ma non sapevo cosa dirti".

Non so se questo blog capiterà mai sotto gli occhi di qualcuno che si trovi a vivere una storia simile alla nostra ma nel ruolo di "amico dei genitori"; se però questo dovesse accadere, spero che questo post possa essere d'aiuto.
Perchè la cosa peggiore che possa capitare di sentire, è l'amico di una vita che giustifica il suo silenzio dicendo "non sapevo cosa dire"; e lo è ancor di più quando, nello stesso momento, tante altre persone quelle parole le hanno trovate, senza paura.
Capisco che il dolore spaventi. Capisco anche che dire "andrà tutto bene" possa sembrare banale, così come può sembrare scontato prendere qualcuno sottobraccio e costringerlo a prendere un cappuccino ed una boccata d'aria.
Ma in certe situazioni, è tutto ciò che possiamo fare, ed è tantissimo.
Da parte mia ho imparato che non bisogna mai aver paura di dire qualcosa di sbagliato ad un amico, quando questo soffre; perchè quando poi, lentamente, il tempo avrà dissolto tutto il dolore, non resteranno che i ricordi di quei giorni e di tutte quelle persone che, sfidando l'istintivo imbarazzo che il dolore può indurre, sono stati in un modo o nell'altro, "presenti".