mercoledì 27 aprile 2011

A PROPOSITO DI ALLOGGI: la bella iniziativa di una mamma

Sarà un pensiero banale, ma chi come me ha attraversato l'esperienza di un Ospedale Pediatrico sa bene che è comunque una grande verità - banale, sì, ma come forse solo le grandi verità sanno essere. E' dal dolore, più che dalla gioia, che spesso sbocciano i fiori più belli.
Quando si è in pace con il mondo e con sè stessi, quando si può essere serenamente supeficiali, quando si ha la sensazione di avere davanti a sè un orizzonte liscio come l'olio è difficile rendersi conto di quanto invece si possa fare per aiutare chi ha bisogno.

Oggi approfitto di questo mio spazio per divulgare, nel mio piccolo, la bellissima iniziativa di una mamma. Una mamma come tante, con tre splendidi figli dei quali però il secondogenito ha dovuto fare i conti, nei dieci anni della sua esistenza, con una malformazione cardiaca che ha richiesto due interventi chirurgici. E' già straordinario vedere come un bambino di quell'età sia in grado di affrontare con maturità e forza d'animo una prova che farebbe tremare le ginocchia a fior fiori di "omaccioni" (perchè alzi la mano chi non avrebbe il sangue gelato nelle vene, sentendosi un compito medico avvolto nel suo bel camice bianco "il tuo cuore ha qualcosa che non va... ,dobbiamo segare, tagliare, riappiccicare, ricucire e speriamo che tutto vada bene."). Sappiamo bene quanto i bambini avrebbero da insegnarci, se solo avessimo voglia di ascoltarli.
E la mamma? La mamma naturalmente crolla nell'angoscia dell'impotenza, teme, spera, aspetta. E quando finalmente tutto quanto si appresta a diventare un lontano ricordo, come tutte noi, non dimentica.
Credo di capire perfettamente quello che è successo; è capitata la stessa cosa a me, e probabilmente a migliaia di altre mamme. Al culmine della gioia, torni alla tua quotidianità sperando di lasciarti finalmente tutto alle spalle, ma ben presto ti accorgi che non è possibile. E' come se qualcosa ti fosse rimasto dentro, qualcosa di piccolo e duro, come un seme, che lentamente nell'ombra comincia a germogliare. "Devo fare qualcosa", ti dici "qualsiasi cosa."
Qualcosa di molto piccolo, come un blog.
Oppure, nel suo caso, qualcosa di più grande, come mettere a disposizione una casa - comprata appositamente per questo "progetto", come lo chiama lei - di quei genitori che dovessero avere la necessità di un alloggio in prossimità dell'Ospedale Pediatrico Bambin Gesù di Roma.
Diceva Madre Teresa: "in questa vita non possiamo fare grandi cose. Possiamo solo fare piccole cose con grande amore." Ed è perciò molto, molto volentieri che segnalo in questo post la splendida iniziativa di Angela (quando si dice, il destino nel nome...).

Queste, tanto per cominciare, le informazioni pratiche sulla casa:

"L'appartamento è sito in zona portuense altezza incrocio con bivio via del Trullo. E' vicinissimo al capolinea dell' 870 (linea che collega portuense all'ospedale) e questo è un dettaglio non trascurabile. E' un appartamento carinissimo ristrutturato di circa 80 mq composto da salottino a vista con divano e tv, cucina arredata, lavatrice, frigo, termoautonomo, bagno, due ampie camere, ripostiglio e terrazzo con lavabo esterno. L'appartamento è ubicato sopra tutti i negozi nonchè ad un mercato rionale ma è molto silenzioso, assolato, ed è posto al piano terzo di una palazzina di quattro, con ascensore."

La disponibilità sarà a partire dal primo maggio, giusto il tempo per il disbrigo delle pratiche burocratiche e per la sistemazione dell'alloggio.

Per informazioni, potete rivolgervi al Negozietto ( il negozio tenuto dalle volontarie dell'OPBG, lo trovate poco dopo l'ingresso all'ospedale dal lato di Piazza Sant'Onofrio), nello specifico alla signora Daniela.

mercoledì 20 aprile 2011

QUELLO CHE SCRISSI ALLORA

Non so perchè l'ho fatto. L'avevo lasciato lì, in un angolo dell'armadio, senza avere più il coraggio nemmeno di prenderlo tra le mani, tutto questo tempo. Mi costava troppo dolore il pensiero anche solo di sfiorare con lo sguardo quelle pagine, riempite con tanta gioia durante i nove mesi di attesa.
Parlo - forse si è capito - del diario della mia gravidanza, quel quadernone ad anelli con la copertina stampata a coccinelle nel quale ho minuziosamente annotato il fluire dei pensieri e delle emozioni, durante i lunghi mesi in cui, lentamente, come una farfalla nel suo bozzolo, mi sono trasformata in una mamma.
Non sapevo ancora quello che avrei dovuto affrontare, sebbene i primi mesi di gravidanza non fossero andati perfettamente lisci (tra minacce d'aborto e una tribolata esperienza con TN e bitest) ero fiduciosa che il peggio fosse ormai alle spalle, che tutto sarebbe andato finalmente per il verso giusto. Solo dieci giorni prima del lieto evento, concludevo dicendo "Ma penso a te, che tra poco arriverai, e mi sento serena."
Poi, un buco lungo quasi venti giorni, un buco del quale conosco perfettamente il senso e il significato. Erano i giorni della confusione, dell'angoscia, del terrore di perdere il terreno sotto i piedi. Anche solo il pensiero di prendere in mano la penna mi sembrava impossibile. D'altronde, come poter mettere nero su bianco una realtà così irreale? Dopo pagine e pagine di emozioni, di carezze scambiate attraverso la pelle tesa del pancione, di piccole paure, come poter parlare di argomenti tanto spigolosi come un'operazione a sterno aperto, un Ospedale Pediatrico, un Reparto di Terapia intensiva Cardiochirugica?
Eppure, a dieci giorni dal parto, quel coraggio l'ho finalmente trovato. Ricordo come fosse oggi quel sabato pomeriggio in cui, in una pausa prima di rientrare in ospedale, seduta al tavolo della sala hobby di casa dei miei ho riempito quelle tre pagine e mezza, con gli occhi inondati di lacrime.
L'ho fatto perchè la mia idea era sempre stata quella, un giorno, di regalare a mio figlio quel diario, affinchè sapesse tutto l'amore che c'è stato dietro. Perchè so che ci saranno momenti bui, quando lui sarà un adolescente tutto ormoni e io la vecchia palla al piede, con le sue regole e i suoi orari; ma voglio che in quei momenti lui non perda mai di vista quello che significa DAVVERO essere mamma. Per questo, in quei mesi, riempivo pagine su pagine, per non perdere neanche una di quelle sensazioni che, a distanza di tempo, avrebbero potuto aiutare mio figlio a capirmi.
E poichè, nella nostra storia, il suo intervento è parte integrante di quelle emozioni, alla fine mi sono fatta forza e ho concluso quel diario nell'unico modo possibile, lasciando andare tutta la paura.
Non ho più avuto il coraggio di leggere quelle pagine; fino ad ora, per questo blog, mi sono sempre affidata al ricordo di quei giorni, alla rievocazione di quelle sensazioni mai sopite. Credo però che sia venuto il momento di lasciare spazio all'unica testimonianza davvero "viva" di quel lunghissimo mese. Nulla di originale, immagino, rispetto a ciò che provano le migliaia di mamme (tremilacinquecento bambini all'anno nascerebbero affetti da cardiopatie congenite) che portano nell'animo cicatrici simili alle mie.
Nel momento in cui scrivevo, mio figlio aveva appena compiuto dieci giorni di vita ed eravamo in attesa dell'intervento di switch arterioso. Stento perfino a riconoscere il mio stile, tanto l'angoscia mi gelava la mente e la penna.

".. Mi sento confusa e disorientata, il mio corpo fatica ad adattarsi. Mi sembra di essermi sognata tutto, fino a pochi giorni fa avevo un pancione enorme e ti sentivo muovere lì dentro, poi all'improvviso le tanto attese contrazioni, il pronto soccorso, la sala travaglio, l'attesa, la tua nascita - il momento più straordinario di tutta la mia vita; e poi come una pallina su un piano inclinato, gli eventi che si susseguono imprevisti, tu che vieni portato via in incubatrice, mi passi davanti nel corridoio e sei bellissimo, dormi con addosso solamente il pannolino e io sono lì in piedi che devo rimanere una notte almeno in ospedale per poter essere dimessa.
Ho pianto per giorni, mi sentivo come se mi fosse stata amputata una parte del corpo, ancora adesso ripenso alla notte in cui ho partorito ed ho un ricordo talmente dolce di quei momenti... ;mi sarebbe piaciuto godermelli di più, trascorrere con tutte le mamme i tre giorni di degenza iniziando a "familiarizzare"con il mio bambino ma la vita ha deciso diversamente, rimanderemo tutto a quando sarai con noi a casa...."

"...E' vero che i cardiologi dicono che è un intervento quasi di routine, ma sei così piccolo e indifeso, mi vengono le lacrime agli occhi anche solo quando la sera ti lascio nella tua culletta.. se penso a quando sarai lì, tutto solo, in camera operatoria mi viene da piangere.
E' come essere ancora incinta, in attesa che tu nasca di nuovo. Mi sto perdendo il tuo primo mese, ho visto che hai già perso il cordone ombelicale, e pensare che mi spaventava tanto l'idea di medicartelo... Ma la cosa più importante è che tu stia bene, che l'operazione vada bene e che possiamo finalmente portarti con noi a casa, nella tua cameretta di "Cars" che il tuo papà ha preparato con tanto amore. Sei tu che mi dai la forza di affrontare ogni cosa, con i tuoi occhietti che mi fissano e le tue manine che mi stringono le dita, sei così sereno e fiducioso nella vita che non posso non esserlo anche io. Continuo a pregare e spero che questo momento passi in fretta."

Questi, i miei pensieri di allora. Qui si interrompe il diario, a parte un pieghevole dell'Unità Operativa di Cardiochirurgia con le informazioni per la dimissione e i numeri da chiamare in caso di necessità. Non si è interrotta, fortunatamente, la nostra storia.