venerdì 28 gennaio 2011

L'IMPORTANZA DI PAPA'

Che una cardiopatia congenita ti stravolge la vita, è più che evidente. Lo capisci nel momento stesso in cui le ostetriche portano i bimbi in camera delle mamme per la poppata, e tu resti sola.
Ma se vogliamo sforzarci di cercare un briciolo di positività in quelle prime, terribili ore, è proprio qui che l'ho trovata, nello straordinario rapporto "fisico" che si è subito instaurato tra il mio Cuoricino ed il suo straordinario papà.
In realtà il cuore di papà era stato rapito fin dalla prima ecografia, quando in una pancia ancora invisibile l'avevamo visto muovere. Più in là, trascorrevano meravigliosi momenti di intimità, le mani di papà poggiate sul pancione, la bocca incollata all'ombelico. Papà raccontava e il nostro ragnetto, lì dentro, faceva le capriole.
Avevamo letto libri e pagine web nelle quali tutti raccomandavano al papà di chiacchierare col proprio bambino, perchè lui, lì dentro, ascolta.

Beh, sapete una cosa? E' verissimo.
C'è una scena alla quale non ho assistito personalmente, ma che mi è stata raccontata con talmente tanta emozione che mi sembra di vederla.
Dopo ore di attesa fuori dalla porta del DEA (Dipartimento Emergenza Accettazione) al Bambin Gesù, finalmente l'infermiera consente ai genitori di entrare. Il papà entra, il cuore gli batte scorgendo in quella piccola culletta il suo bambino uscito dalla sala operatoria.
E' pieno di tubi, al polso ha ancora il braccialetto di plastica che gli hanno messo nell'ospedale in cui è nato, quando ancora tutto filava liscio come nella più rosea delle favole.
Il petto nudo, indossa solo il pannolino e dorme.
Lui gli si avvicina commosso, lo chiama per nome.
E sente il fiato mozzarglisi in gola quando il piccolo Cuoricino rattoppato, prontamente, apre gli occhi.
Ci sono foto scattate in quei primissimi giorni in cui c'è lui, il suo papà, in piedi accanto alla culletta, mentre gli stringe la manina accarezzandogliela, con un sorriso luminoso. E il piccoletto lì accanto, uno o due giorni di vita appena eppure già sopravvissuto a tutti gli effetti, che lo guarda.

Mi emoziono ogni volta che li guardo, anche oggi quando quella vocina chiama implorante "papàààààà" ogniqualvolta lui si allontana per andare in bagno interrompendo per un attimo i loro giochi.
E' vero, in quelle stesse ore in cui loro due erano per la prima volta soli, padre e figlio, io non ero certo in vacanza, ma inchiodata in un letto d'ospedale in attesa di essere dimessa, in preda ad un angoscia nera e annichilente. Ci dovrei essere io lì con lui, pensavo con rabbia, sentendomi inutilmente lontana dal mio bambino in un momento che avrebbe anche potuto essere il suo ultimo, se le cose avessero deciso di mettersi male.
Ma adesso, rivedendo a distanza di tempo quelle foto, trovo che tutto sommato sia stato proprio lì, nel buio impenetrabile di quell'angoscia, che una stella tanto grande ha potuto splendere.
Per tutta la gravidanza avevo preso in giro le ansie di mio marito, chiamandolo scherzosamente "papà di Nemo"; ed ecco che invece all'improvviso proprio come il Marlin del film anche lui si ritrova solo, mormorare al suo bambino "va tutto bene, c'è papà qui"



(immagine tratta da http://karenjlloyd.com/blog/2008/10/29/feature-favorites-finding-nemo/)

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